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Nuovo Codice Forestale: “interessi economici, a scapito di sicurezza e salute”
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“È una legge che, più che guardare alla tutela dei boschi italiani, mira a rafforzarne la loro produttività nell’ambito delle filiere commerciali venendo meno ai principi fondamentali di sicurezza e salute".

La striscia

Il Nuovo Codice Forestale “mette a rischio l’ambiente, l’economia dei luoghi, le comunità che li abitano, nonché la loro sicurezza”. All’indomani della sonora soddisfazione espressa dal Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Dottori Agronomi e Forestali, ecco le parole del Comitato TerrA – Territori Attivi contenute in un documento frutto della collaborazione di diverse associazioni ed esperti del settore in Italia, tutti contrari al Nuovo Codice Forestale in approvazione in questi giorni presso il Consiglio dei Ministri. Il documento, è stato inviato al Presidente della Repubblica, al Presidente del Consiglio dei Ministri, al Ministro dell’Ambiente, all’Ispra e a tutti i maggiori enti e organi a vario titolo coinvolti.

DURE LE ACCUSE DEL COMITATO – “È una legge che, più che guardare alla tutela dei boschi italiani, mira a rafforzarne la loro produttività nell’ambito delle filiere commerciali venendo meno ai principi fondamentali: sicurezza e salute in particolar modo. È addirittura incostituzionale, come paventato dal vice presidente emerito della Corte Costituzionale, Paolo Maddalena. Nel testo si nascondono diverse insidie che lasciano nei fatti le foreste italiane nelle mani di diversi interessi economici, primo fra tutti il mercato delle biomasse con gravi ripercussioni sulle condizioni climatiche e venendo meno alle normative europee con nefaste conseguenze per la salute pubblica. Una “logica interventista” che lo rende, nei fatti, esposto ad esclusive logiche produttive, con alberi e boschi equiparati a “coltivazioni agrarie” nel solo interesse di alcuni, accaparrandosi consensi attraverso facilitazioni e finanziamenti pubblici tali da creare un circolo vizioso che potrebbe condurre rovinosamente ad opere di urbanizzazione in luoghi fino ad ora preservati dall’ingordigia dell’uomo, con ulteriori interventi come strade ed opere varie a ripagare lo scempio fatto” dichiara in una nota il Comitato.

COSA ACCADREBBE SE LA LEGGE VENISSE APPROVATA? – Gli esperti che hanno espresso la loro contrarietà sostengono che il testo di legge potrebbe condurre a una situazione veramente preoccupante. Potrebbe infatti incrementare notevolmente la fragilità di ecosistemi già molto deboli, aumentando il rischio di incendi e un peggioramento della situazione relativa al dissesto idrogeologico. Comporterebbe inoltre la perdita di superfici naturali, un maggior inquinamento, la cementificazione e l’urbanizzazione della montagna, l’eliminazione di un’elevata percentuale di boschi italiani (o comunque almeno quell’attuale 40% generatosi da terreni abbandonati).

LA VALORIZZAZIONE SOCIO-ECONOMICA DEI BOSCHI – A preoccupare il gruppo di lavoro che ha redatto il documento è anche il concetto di “valorizzazione socio-economica del bosco”. Una definizione che ritengono troppo vaga, dove potrebbero rientrare anche baite, resort, piste da sci, parcheggi, discariche. Una paura che sostengono affonda le radici nella storia degli ultimi decenni italiani: centinaia di casi concreti dimostrano che enti pubblici e privati hanno spacciato qualsiasi tipo di intervento come “valorizzazione”, “conservazione” o “tutela ambientale”, per giustificare qualsiasi tipo di opera ed intervento da realizzare aggirando vincoli e norme.

CHE FINE FARANNO IL 40% DEI BOSCHI?  – Il gruppo di associazioni ed esperti denuncia che sono a rischio i due terzi dei boschi attualmente presenti sul nostro territorio. Questo perché nel testo non si considera la maggior parte delle foreste italiane, in quanto originatesi dall’abbandono colturale dei terreni agricoli. Si genera un paradosso: una foresta vetusta che sorge in un’area in cui secoli addietro si sia coltivato non sarà più considerata tale e quindi soggetta a taglio indiscriminato. Vista la numerosità dei boschi che rischiano di essere tagliati, si può ragionevolmente pensare che il cambio di uso del suolo può essere un’ingente causa del dissesto idrogeologico.

LA RIMOZIONE DEL VINCOLO DEI PRODOTTI NON LEGNOSI – La rimozione di questo vincolo, secondo gli esperti, potrebbe condurre a speculazioni commerciali che andrebbero ad arrecare pesanti danni agli ecosistemi, che rischiano di essere privati di importantissimi elementi. Altre vittime di queste speculazioni potrebbero essere le comunità rurali, che storicamente utilizzano questi prodotti per lo più in maniera razionale, ben consapevoli che la distruzione totale di un bene raramente ne garantisca future raccolte. Sarebbe invece auspicabile, secondo gli autori, una più organica regolamentazione di questo tipo di raccolta mediante la creazione di appositi disciplinari che vadano a favorire i piccoli raccoglitori residenti, specialmente per l’uso personale.

IN CONCLUSIONE SECONDO IL COMITATO TERRA-TERRITORI ATTIVI – “Questa legge appare totalmente sbilanciata verso una visione agro-silvopastorale del bosco, a discapito della sua connotazione di bene ambientale e fondamentale per le collettività locali e per il Pianeta intero, facendo passare il concetto di foresta come mero insieme di alberi, ove tutto debba fare reddito a pena di essere eliminato, ignorandone così, tra le tante, la funzione ecologica e naturalistica. È vero che ulteriori incentivi e facilitazioni alla filiera del legno e delle biomasse potrebbero portare nuovi posti di lavoro, ma nel contempo va considerato che essi potrebbero altrettanto facilmente aumentare l’inquinamento, il dissesto, l’antropizzazione del territorio e la perdita di un bene comune da condividere. Se le agevolazioni pubbliche in questo campo venissero dirottate verso servizi pubblici (scuole, manutenzione delle strade, ospedali, etc) e politiche sociali, sarebbero garantitili altrettanti posti di lavoro, con ulteriore benefico per la società e senza le controindicazioni date dal bruciare biomasse e tagliare i boschi”.

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