Caccia, storni e agricoltura. Ogni anno, con gli uccelli che proliferano in periodo riproduttivo e con le colture che iniziano a dare i primi fragili frutti, il conflitto tra attività umane e fauna selvatica esplode insieme alla primavera.
E’ la volta della Lombardia: “In settimana partirà la richiesta di deroga all’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale per poter cacciare lo storno, il fringuello e la peppola, nonché la deroga per la cattura di torde, cesene e merli. L’iniziativa è stata condivisa con le associazioni venatorie lombarde”. Questa è l’intenzione espressa anche per la stagione 2018-2019 dall’assessore all’Agricoltura, Alimentazione e Sistemi verdi della Regione Lombardia Fabio Rolfi, così come avvenne anche nel 2017, nel 2016 e ancora indietro negli anni.
La normativa europea a cui l’assessore fa riferimento è quella prevista dalla Direttiva Uccelli, che regola la “cacciabilità” delle specie di uccelli nel nostro Paese e che non autorizza fucili puntati contro storni, fringuelli e peppole. Eppure la stessa Direttiva prevede anche che – dopo eventuale parere favorevole di Ispra – possano essere concesse delle deroghe e che alcune specie possano essere cacciate. “Ho richiesto un incontro ai nuovi vertici Ispra – ha continuato l’assessore Rolfi – ed è necessario fare fronte comune per difendere un settore che ha un forte indotto occupazionale e che rappresenta una tradizione ancora viva del nostro territorio”. Come se la difesa dell’indotto economico e delle attività tradizionali fossero l’altare sul quale poter sacrificare la gestione del territorio, in deroga alla normativa e prima ancora di aver valutato l’impatto di una specifica azione dell’uomo sull’ecosistema.
Ma a muover le parole dell’assessore, qualche fatto deve essere pure accaduto. “Lo storno – argomenta l’assessore Rolfi – ha causato gravi perdite alle produzioni lombarde. I danni accertati dal 2008 a oggi ammontano a 800 mila euro nella nostra regione e solo nel 2017 le province di Brescia, Pavia e Sondrio hanno registrato danni per 60 mila euro. Le colture maggiormente colpite sono quelle vitivinicole per la produzione di vini DOC e DOCG e frutticole (melo, ciliegio), con concentrazione nel periodo della maturazione dei frutti a giugno e tra agosto e ottobre”.
Sulla base di queste evidenze – anche se non si capisce come mai i danni li abbia provocati lo storno ma la deroga sia richiesta anche per altre specie – la Lombardia ha dunque inoltrato a Ispra la richiesta di poter autorizzare in deroga le seguenti attività: controllo di esemplari della specie Storno, mediante prelievo venatorio da parte di cacciatori espressamente autorizzati; prelievo venatorio di esemplari delle specie Storno, Fringuello e Peppola per consentire la cattura, la detenzione o altri impieghi misurati di determinati uccelli in piccole quantità. Poi è stata chiesta anche la cattura di esemplari delle specie Tordo bottaccio, Tordo sassello, Cesena e Merlo da cedere ai cacciatori come richiami vivi per la caccia da appostamento.
Insomma, mitigare i danni all’agricoltura diminuendo nel numero gli esemplari presenti nel territorio, senza considerare che verrebbero impiegati anche i tanto discussi “richiami vivi”, ovvero individui della stessa specie che si intende cacciare, detenuti perché cantino e attirino in trappola i propri simili. In attesa del parere di Ispra, che ha già negato le deroghe per le precedenti stagioni di caccia, ci chiediamo se non sia più efficace per gli agricoltori mettere in atto un strategia a lungo termine che non operi sulla riduzione del numero degli esemplari, ma sull’eliminazione delle cause che portano gli storni a proliferare e a cibarsi del frutto delle fatiche di chi lavora, come i dissuasori o le protezioni alle colture. Intanto una riflessione di carattere generale, che inquadra il conflitto tra uomo e fauna selvatica ogni anno più aspro: storni e piccoli uccelli in generale stanno abbandonando i siti naturali per prediligere gli ambienti urbani, più ricchi di cibo “a basso costo” (ovvero più facile da reperire. Stesso dicasi per le zone rurali. C’è un fatto: entrambi gli ambienti sono un esempio di come l’uomo colonizzi territori sempre più ampi, sede legittima della fauna selvatica.
Al lettore, la propria conclusione.