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Coltivare la canapa: una nuova “bioeconomia”
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La striscia

Tante le questioni aperte, la legge 242/2016 può anche creare nuovi carrozzoni: l’esperienza della Cooperativa Campanapa

Roma – Molti autorevoli osservatori hanno scritto prima di noi:“ La legge 242 che disciplina la coltivazione della canapa è un’occasione per rilanciare il territorio in affanno ma anche un modo per difendere l’identità della comunità locale”. Mercoledì prossimo 25 luglio, organizzato da Confagricoltura nella sede romana di Corso Vittorio, un convegno dal titolo: “ Canapa industriale: la storia, le opportunità, le criticità attuali e le prospettive future”. Hanno già comunicato la partecipazione molte Istituzioni, compresi i Ministeri direttamente competenti e diverse Regioni.
Nel comunicato stampa che annuncia l’evento fra l’altro si legge: “ Con l’emanazione della legge 242/2016 è stato dato nuovo impulso alla coltivazione della canapa per usi industriali in Italia. Rimangono però aperte alcune questioni quale la determinazione dei limiti del Thc residuo degli alimenti ed una chiara disciplina delle infiorescenze che rischiano di compromettere l’avvio di filiere integrate con la creazione di specifici distretti. Su questi aspetti e sulle opportunità di questa coltura, tra le più rappresentative della bioeconomia, si confrontano rappresentanti del mondo delle imprese, della ricerca e delle Istituzioni”.
Fin qui il convegno di Confagricoltura ma a proposito di questioni, di filiera e di imprese impegnate in questa coltivazione ecco quanto affermava, in una intervista di qualche mese fa ad una rivista del settore, Francesco Pedicini presidente della Coop. Campanapa: “L’obiettivo politico è chiaro: sulla scorta dell’esperienze quarantennali di aziende in Italia, non vorremmo fare la fine dei produttori di tabacco in Campania o di quelli delle arance in Sicilia e così via. Politicamente c’è l’interesse di creare sovrastrutture come i consorzi agrari o le aziende che intercettano gli investitori e che organizzano la vendita e la commercializzazione del prodotto e che governino il settore, ma noi siamo contro questa ideologia. Dalla produzione alla commercializzazione non ci devono essere intermediari, così evitiamo la possibilità che tra 10 anni ci vengano a dire che sarà conveniente andare a prendere le paglie in Africa piuttosto che in Cina, come accade in tutti i settori”.
E in un altro passaggio chiariva: “La nostra idea è quella di avere il prodotto agricolo e quindi paglie, semi e infiorescenze, realizzare i prodotti finiti e venderli direttamente. Altrimenti non conviene produrre il solo prodotto agricolo e poi non nasciamo come conferitori. Noi abbiamo alle spalle 40 anni di storia nella coltivazione del tabacco in Campania e lo Stato ha investito migliaia di miliardi, sotto monopolio, per un settore che è finito in 3 mesi perché tutta la filiera era basata su un monocliente che era Philip Morris. Ho paura che con la canapa possa succedere la stessa cosa”.

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