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Oceani sempre più acidi per le emissioni di CO2: specie marine a rischio
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La striscia

Il problema dell’acidificazione degli oceani è considerato l’altra faccia del cambiamento globale ambientale in conseguenza dell’aumento della immissione di anidride carbonica (CO2) in atmosfera che, nel  2017, ha superato il valore critico di 400 ppm. Le emissioni di anidride carbonica (CO2) di origine vulcanica presenti in alcune aree sommerse costiere del Golfo di Napoli, e in particolare nell’isola di Ischia, la più grande delle isole Flegree a nord del Golfo di Napoli, rappresentano un “modello” e un vero e proprio laboratorio naturale per lo studio degli effetti dell’acidificazione sui sistemi marini del Mediterraneo e degli Oceani. In questi siti, naturalmente acidificati per l’eccesso di CO2 che fuoriesce dal fondale marino, vengono simulati i livelli e scenari futuri di acidificazione marina, offrendo così una finestra sul futuro climatico dei nostri mari.

Tali studi sono condotti in primis dalle ricercatrici del Centro Villa Dohrn di Ischia della SZN, Nuria Teixido e Maria Cristina Gambi, impegnate in prima linea nell’approfondire gli effetti delle alterazioni collegate al cambiamento ambientale globale attraverso lo studio delle condizioni di acidificazione delle acque marine e delle conseguenze che essa comporta sulla biodiversità marina. La loro ultima ricerca in tale ambito è stata pubblicata per la prestigiosa rivista scientifica “Nature Communications”. La ricerca è stata condotta nell’ambito dei programmi internazionali finanziati dalla National Geographic Society e dalla TOTAL Foundation, in collaborazione con partner provenienti dalla Spagna, come il Dottor Enric Ballesteros esperto mondiale di ecologia delle alghe, dalla Francia, grazie ai Dottori Valeriano Parravicini e Sebastien Villéger esperti di analisi statistica dei tratti funzionali degli organismi marini, e dagli Stati Uniti, con il contributo delle Professoresse Fiorenza Micheli e Kristy Kroeker, ecologhe marine esperte di acidificazione oceanica. Lo studio ha interessato le comunità bentoniche del substrato roccioso del Golfo di Napoli, vale a dire la categoria ecologica che comprende gli organismi che vivono in stretto contatto con il fondo marino o fissati ad un substrato solido. Oltre alla biodiversità, in termini di numero e tipo di specie, è stata valutata la variazione della diversità funzionale, cioè la gamma di tratti biologici delle specie. Quindi, sono state calcolate diverse variabili quali taglia, longevità, tipo di alimentazione, difese chimiche, strutture calcaree, osservate lungo un gradiente di progressiva diminuzione del pH (l’indicatore chimico di acidità) e il conseguente aumento di acidificazione delle acque marine. A tale fine, è stato utilizzato il sistema di emissione di CO2 del Castello Aragonese di Ischia, ad oggi il sistema più studiato e meglio conosciuto al mondo. I risultati riscontrati mostrano che la diversità funzionale, cioè la ricchezza di combinazioni uniche che caratterizzano le diverse specie, diminuisce con l’aumento dei valori di acidificazione, e che la perdita funzionale risulta più pronunciata della corrispondente diminuzione della diversità tassonomica, cioè del numero di specie che viene interessata da questo fattore di stress ambientale. Anche se attualmente i livelli naturali di acidificazione marina negli oceani del nostro pianeta risultano ancora modesti, i valori di pH sono diminiti di circa 0,1-0,2 unità dall’inizio dell’era industriale ad oggi. Per la fine di questo secolo, i modelli di previsione futura di acidificazione oceanica simulano un abbassamento molto più repentino di 0,3-0,5 unità, fino a valori che potrebbero diventare critici e mettere in pericolo la sopravvivenza di molti organismi. Poter quindi prevedere come si adatteranno specie, comunità ed ecosistemi all’aumento di questo fattore, studiando sistemi naturali come quello del Castello Aragonese di Ischia, che simulano i livelli di acidificazione di un futuro non lontano, ha un valore determinante non solo per gli studiosi, ma anche per i gestori e i fruitori dell’ambiente marino in generale.

“Le nostre analisi suggeriscono che anche cambiamenti moderati nella composizione delle specie può avere impatti rilevanti sulla diversità funzionale e ridondanza, e quindi sul funzionamento dell’ecosistema. Questo studio ci aiuta a comprendere che, in condizioni di acidificazione marina, la ricchezza funzionale di una comunità non è tamponata dalla ridondanza delle sue funzioni, anche in comunità che risultano molto diversificate come quelle dei fondi rocciosi vegetati del Mediterraneo – hanno affermato Nuria Teixido e Maria Cristina GambiCiò significa che le comunità si impoveriscono sia come numero di specie sia come funzionamento della comunità stessa, con conseguente possibile collasso di tutto l’ecosistema. I risultati da noi illustrati, anche se limitati al sistema del Castello e ad un habitat specifico, hanno una valenza per altri sistemi ecologici marini di altre aree geografiche in quanto evidenziano i processi ecologici che potranno essere applicabili e generalizzabili su più ampia scala geografica”.

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