Lana di alpaca, rami e rametti: per Fabian e Julia questo sarà il quarto San Valentino trascorso sul nido che hanno allestito insieme con grande cura, impiegato in queste ore per covare il proprio uovo giunto appena all’undicesimo giorno dalla deposizione. Ne serviranno ancora più di quaranta prima che il pulcino possa mettere il becco fuori dal guscio al Parco Natura Viva di Bussolengo ma nessuno sa meglio di questa coppia di gipeti quanto la strada sia ancora lunga e piena di imprevisti: un’operazione chirurgica a lei, alcuni punti di sutura all’ala di lui e un “equivoco” nella cure paterne, hanno sempre impedito che i due potessero condurre il proprio piccolo oltre il momento fatidico della schiusa. Ma per il più grande avvoltoio d’Europa, estinto in Italia nel 1969 e oggi nidificante con sole 32 coppie grazie alle reintroduzioni da parte dell’uomo, poter nascere fa la differenza tra sopravvivere ed estinguersi. Per questo il loro nido è spiato dall’occhio della telecamera e dallo staff per 24 ore al giorno.
“Fabian e Julia – spiega Camillo Sandri, veterinario e direttore tecnico del Parco Natura Viva – fanno parte del progetto di reintroduzione del gipeto condotto da Vulture Conservation Foundation sulle Prealpi francesi, in Andalusia, sulle Alpi svizzere e in Austria. Quest’anno sono la diciannovesima coppia del network ad aver deposto e il loro è il trentunesimo uovo attualmente in cova, candidato a dare vita ad uno dei pulcini che potrebbe tornare a solcare le cime d’Europa”. Il gipeto è infatti un abitante delle vette rocciose tra i 1.000 e i 4.000 metri di quota, necrofago, che per l’85% della propria dieta si nutre di ossa degli altri animali: “E’ qui la ragione profonda dell’estinzione di questo animale – prosegue Sandri – vittima della diminuzione dei pascoli bradi, della scarsità di ungulati, di bestiame e piccoli mammiferi, delle predazioni dei propri nidi da parte dei bracconieri e di intossicazioni da piombo. Insieme ad altre tre specie di avvoltoio, svolge il ruolo di “spazzino della natura” e perderlo nuovamente, significherebbe corrompere l’equilibrio di un intero ecosistema”.