L’acqua è base della vita sulla terra e risorsa fondamentale per il nostro sistema alimentare, riconosciuta nel 2010 dall’ONU come diritto umano essenziale per il pieno godimento della vita e di tutti i diritti umani. Ma che uso facciamo oggi dell’acqua? Il 70% dell’acqua dolce prelevata da fonti di superficie o falde acquifere è impiegata nel settore agricolo ed è, quindi, alla base della produzione di cibo, mentre oltre il 90% della nostra impronta idrica è legata proprio al consumo di cibo. Un vero paradosso, visto che – sempre secondo l’ONU – circa 2 miliardi di persone nel mondo vivono in zone ad elevato stress idrico, ossia con difficoltà ad accedere all’acqua. Un quadro destinato a impattare anche sulle migrazioni, dato che entro il 2030 si prevede che proprio la scarsità di acqua in alcuni luoghi aridi e semi-aridi farà spostare dai 24 ai 700 milioni di persone. È questa l’analisi elaborata da Fondazione Barilla Center for Food & Nutrition (BCFN) in occasione della Giornata Mondiale dell’Acqua, che ricorre il prossimo 22 marzo.
Il quadro che emerge da questa analisi appare però ancora più complesso: due terzi della popolazione mondiale (circa 4 miliardi di persone) vive attualmente in aree che soffrono di carenza idrica per almeno un mese all’anno, mentre 1,6 miliardi di persone (quasi 1/4 della popolazione mondiale) soffre la carenza di acqua per motivi economici, perché i Paesi in cui vivono non dispongono delle infrastrutture necessarie per prelevare questa risorsa. Per questo, serve guardare a modelli alimentari che siano davvero sostenibili, privilegiando quegli alimenti – e quelle diete – che tengano conto anche dell’impronta idrica del cibo che mettiamo ogni giorno a tavola. E se si pensa che da qui al 2050 la popolazione mondiale supererà i 9 miliardi di persone, ecco che interventi concreti appaiono più che mai necessari. Intervenire sulla produzione di cibo, che rappresenta la maggiore causa di utilizzo dell’acqua a livello globale, e sul modo in cui lo consumiamo sembra ormai un passo inevitabile ed urgente. Marta Antonelli, Responsabile del Programma di Ricerca della Fondazione Barilla, afferma: “Quando parliamo di accesso all’acqua, ‘Non lasciare nessuno indietro’ (Leaving No One Behind, tema della Giornata Mondiale dell’Acqua 2019) appare essenziale per superare la povertà e affrontare altre disuguaglianze sociali ed economiche. Una sfida resa ancora più difficile dalla crescita dei redditi pro capite e dall’urbanizzazione che, combinate col forte aumento della popolazione, stanno portando una crescita della domanda di cibo e prodotti ad alta impronta idrica, come carne e latticini, allontanandoci da diete sostenibili come quella mediterranea. Migliorare le pratiche di produzione e consumo di cibo rappresenta un passo necessario alla costruzione di una società impegnata nella salvaguardia del pianeta, nel rispetto delle sue risorse e per il benessere delle generazioni presenti e future”.
I numeri confermano come le nostre scelte alimentari impattino sul consumo di acqua: scegliere un menu con carne, che ha un’impronta idrica di 2031 Kcal, significa consumare ben 4.707 litri di acqua. Quantità che si andrebbe a ridurre scegliendo un menu vegetariano (2.828 litri e 2016 Kcal) o uno vegano (2.523 litri e 2109 Kcal). A livello europeo è stato stimato che mangiare meno carne potrebbe ridurre l’impronta idrica fino al 35%, mentre sostituendo la carne con il pesce, l’impronta idrica si ridurrebbe fino al 55% (stessa percentuale che si otterrebbe passando ad una dieta vegetariana). Apportare questi cambiamenti non solo farebbe risparmiare acqua, ma avrebbe anche un impatto positivo sulla salute, migliorando la dieta nei Paesi in cui più di 1/3 della popolazione è in sovrappeso e circa 1/4 obesa.