Lo scienziato Roberto Danovaro, secondo la prestigiosa piattaforma internazionale Expertscape, è il ricercatore più accreditato nel settore “Sea and Ocean Worldwide”. L’italiano è stato selezionato tra 87425 scienziati.
Il biologo marino Roberto Danovaro, presidente della Stazione Zoologica Anton Dohrn di Napoli, Istituto Nazionale di Biologia, Ecologia e Biotecnologie Marine, è il “top scientist” mondiale nella ricerca relativa a mari e oceani nel decennio 2010-2020. Il riconoscimento arriva dalla prestigiosa piattaforma Expertscape che seleziona, verifica e certifica, confrontando tutti i principali prodotti scientifici a livello internazionale, i migliori scienziati e medici mondiali per settore di competenza. L’algoritmo di Expertscape sfrutta numerosi parametri per definire le classifiche, in primis la qualità e la quantità di ricerche pubblicate e revisionate dalla comunità scientifica su diverse tematiche. Dalla classifica relativa al decennio 2010-2020 per l’area “Sea and Ocean Worldwide”, Roberto Danovaro è noto per le sue ricerche su biodiversità, funzionamento degli ecosistemi marini e impatti dei cambiamenti climatici sugli oceani, selezionato dopo un confronto con 87425 scienziati in tutto il mondo per la categoria oceani e mari. “L’Italia dimostra – afferma Roberto Danovaro – di avere capacità di svolgere ricerche di eccellenza a livello mondiale nell’ambito del mare, elemento tutt’altro che scontato. Se in tanti settori il nostro paese si piazza bene senza primeggiare, siamo felici di ottenere questo primato nella ricerca marina. È un segnale positivo per il nostro Paese che vede la Stazione Zoologica Anton Dohrn di Napoli tra le prime 20 istituzioni di ricerca marina al mondo, dominando su altri giganti della ricerca oceanica, strutture molto più grandi che contano su investimenti più consistenti”. “Il primato – aggiunge lo scienziato – è stato ottenuto sfruttando al massimo le risorse a disposizione e lavorando su tematiche di grande rilevanza attuale e futura: tra queste le ricerche svolte negli abissi del pianeta, in quelle aree remote e difficilmente accessibili che richiedono un maggior bagaglio tecnologico e che in futuro saranno quelle più bersagliate e impattate delle attività umane potenzialmente distruttive, come l’estrazione di idrocarburi e minerali. Non dimentichiamo che per dimensione e complessità, le ricerche oceaniche sono confrontabili con quelle degli studi spaziali: nessun Paese può fare da solo perché le tecnologie necessarie sono troppo costose e richiedono grandi risorse economiche, per questo sarebbe necessario concentrare gli sforzi a livello nazionale e creare una rete di cooperazione internazionale. Dobbiamo considerare, infatti, che il 50% degli oceani è al di fuori dei confini giurisdizionali dei paesi, è un “mare di nessuno” che deve essere protetto e gestito tramite una cooperazione globale che eviti che si crei un far west privo di regole dove prevalgono gli interessi dei più forti”.