“Superare la monocultura dello sci alpino con strategie e buone pratiche di sviluppo turistico sostenibile” questo è l’appello del Club Alpino Italiano (CAI), che da anni pone chiaramente la questione della direzione da intraprendere per il futuro della montagna. Recentemente, infatti, ha elaborato anche un nuovo documento dedicato all’industria della neve nel contesto della crisi climatica. Il titolo è esplicativo: “Cambiamenti climatici, neve, industria dello sci. Analisi del contesto, prospettive e proposte”. Ed è proprio questo il focus del numero di febbraio di Montagne360, la rivista del CAI.
«DOBBIAMO VIVERE LA MONTAGNA IN MODO PIÙ VIRTUOSO E SOSTENIBILE» – Nell’editoriale il Presidente generale Vincenzo Torti scrive: «il documento recentemente approvato offre puntuali proposte sul come la montagna, le sue popolazioni ed i suoi frequentatori dovrebbero orientare scelte virtuose in un’ottica ambientale e di vivibilità, oltre che, e non è poco, effettivamente remunerative, senza dover drenare ulteriormente denaro pubblico e risorse naturali». Il documento, insomma, delinea «in maniera chiara e inequivocabilmente motivata la posizione del Club alpino italiano rispetto a qualsivoglia ipotesi di creazione di nuovi impianti sciistici o ampliamento di quelli esistenti». A sostegno di questa tesi, Torti evidenzia «gli oltre 300 impianti abbandonati, la stagnazione ormai consolidata del numero dei frequentatori dei comprensori sciistici, il crescente fabbisogno di risorse idriche per sopperire alla mancanza di neve e la necessità costante di finanziamenti “comuni” per consentire agli impiantisti di sopravvivere. Sarebbe veramente assurdo proseguire in una direzione che, da qualsivoglia punto di vista, appare destinata all’insuccesso, oltre a creare danno all’ambiente».
«LA MONTAGNA DEVE ESSERE FREQUENTATA IN MODO PIÙ “SLOW”» – Su questo numero, come ricorda il direttore Luca Calzolari nell’introduzione al focus, non si parla «solo d’impianti o di turismo, ma di una nuova idea di come frequentare la montagna. Un’idea che passa dalla lentezza, dalla sostenibilità, dal concetto stesso del viverla e abitarla. A scrivere non sono solo gli esperti rappresentati del Club alpino, ma anche docenti universitari, economisti, alpinisti e scrittori».
Solo per citarne alcuni, l’alpinista Hervé Barmasse ricorda che «l’errore più grave è stato pensare che creare artificialmente la neve fosse la soluzione definitiva e non transitoria del problema». Lo scrittore Paolo Cognetti ritiene prioritario «educare, insegnare ai bambini e ai ragazzi che un altro rapporto con la neve, con la montagna d’inverno, che non sia lo sci su pista è possibile». Il «documento per difendere la montagna» è presentato nei dettagli dal presidente della Commissione Centrale Tutela Ambiente Montano del CAI Raffaele Marini, mentre il Vicepresidente generale Erminio Quartiani puntualizza che «la montagna non si consuma, si vive. A noi interessa quella frequentata e abitata, in cui l’alpinista non sia estraneo al montanaro».
GLI EFFETTI DELLA CRISI CLIMATICA – Sulla neve eccezionalmente presente di questo inverno riflette il direttore Luca Calzolari nella rubrica Peak&tip, affermando che si tratta di precipitazioni che confermano la crisi climatica. Come spiegano gli esperti, infatti, la situazione odierna deriva dalle temperature ancora una volta superiori alla media di questi ultimi mesi. Sempre sulla crisi climatica, altri contributi sono dedicati alla verifica dello stato di salute del ghiacciaio dell‘Adamello grazie alla speleoglaciologia, agli ultimi trent’anni di ricerche glaciologiche in Trentino e ai consigli su come scalare una cascata di ghiaccio adattandosi ai tempi che cambiano (sia in termini di temperature, che di possibilità di movimento). Un articolo presenta poi lo studio sulla stabilità dei rifugi e delle relative vie d’accesso messa a repentaglio dall’aumento delle temperature. Grazie alla convenzione tra Università di Torino e Cai, i ricercatori sono al lavoro sulla Punta Gnifetti e alla Capanna Margherita.