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Tutti dimenticano il Min. dell’Ambiente tranne Grillo, che chiede la “Corte suprema per lo sviluppo sostenibile”
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La striscia

Elena Livia Pennacchioni
Elena Livia Pennacchioni
Vedo il mondo da 1 metro e 60, l'altezza al garrese del mio Attila. Sono l'addetta stampa della biodiversità, romana di nascita e veronese d'adozione, ma con il cuore ha in Umbria. Scrivo di animali, piante e qualche volta di come l'uomo riesce a salvarli!

Il totonomi che dovrebbe predire i ministri del prossimo governo Draghi (dando per assunto che l’ex governatore della BCE sciolga la riserva e accetti l’incarico sin qui affidatogli dal Capo dello Stato Sergio Mattarella) prosegue senza sosta pur senza prestare molta attenzione al prossimo titolare del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare. Economia, esteri, interni, salute e sviluppo economico sotto la lente d’ingrandimento, poco invece l’interesse per un dicastero da sempre considerato secondario, destinatario di pochi e frammentati fondi di gestione, amministrato nel tempo per lo più da incarichi politici lontani dalle competenze necessarie. Eppure, a rigor di logica, ci si sarebbe aspettati una nuova giovinezza per l’ambiente che con il Green New Deal, il piano europeo salutato come il punto d’inizio di una nuova riscossa delle economie occidentali, sarebbe dovuto tornare al centro della strategia economica dello Stato. Fin qui però abbiamo assistito solo a qualche iniziativa in difesa di Sergio Costa, ministro uscente a via XX Settembre, avanzata da una petizione online che tutto sommato non ha ottenuto il risultato sperato, collezionando al momento in cui scriviamo solo 958 firme. Peraltro, alcune indiscrezioni pongono l’ex Generale dei Carabinieri Forestali ai nastri di partenza della campagna elettorale che dovrebbe portarlo all’elezione a sindaco di Napoli, quindi sostanzialmente fuori dai giochi della composizione della nuova maggioranza di governo seppure si tratti di una figura in quota cinque stelle, già Conte I riconfermata dal Conte II. È qui però che Beppe Grillo cala l’asso e ipoteca la casella lasciata vuota dalla politica e dall’opinione pubblica: in un articolo sul suo blog, punto per punto, snocciola la ricetta magica per intercettare i fondi del Recovery Fund sventolando la bandiera della green economy.

“Creare un ministero della transizione ecologica” si legge al primo punto, ovvero “fondere in un Ministero per la Transizione Ecologica gli attuali ministeri dell’ambiente e dello sviluppo economico. Come hanno fatto Francia e Spagna, e altri Paesi. Nominare ministra/o un persona di alto profilo scientifico e di visioni”. Di quali visioni non è dato sapere (d’altronde siamo nell’era della post-politica), l’importante è che siano visioni. Vien da sè che l’ex comico genovese, al punto due, programmi di “dare la competenza della politica energetica” alla nuova Istituzione così pensata “o almeno all’eventuale superstite Ministero dell’ambiente”. Ma il bello viene quando, al punto successivo, manifesta lo spirito che ha animato l’azione del Governo giallo-rosso durante la pandemia: “Creare anche in Italia, come in Germania, Francia e altri Paesi, un Consiglio superiore per lo sviluppo sostenibile con pochi membri, in numero dispari tra 5 e 9, composto di personalità di altissimo profilo scientifico, nominate dal presidente della Repubblica per un lungo mandato (5-10 anni). Una specie di “Corte suprema per lo sviluppo sostenibile con valore consultivo, ma con grande autorevolezza e intensa comunicazione pubblica”. Praticamente una “task force” tecnica nominata direttamente dal Capo dello Stato di contiana memoria, con incarichi non controllati ed espressione di alcuna volontà popolare. Un’eminenza grigia di personalità che non si capisce bene quale ruolo dovrebbero svolgere secondo quale mandato, anche “con un’intensa comunicazione pubblica” (perché la moral suasion deve allineare le opinioni), con buona pace dello streaming e della scatoletta di tonno aperta dai cittadini. Ma non è tutto: oltre a farci digerire la fusione di due ministeri e l’istituzione di un’oligarchia influente e sopra le regole democratiche, Beppe Grillo fa trentuno e propone una modifica alla costituzione, evidentemente certo che a lui non andrebbe male come a tutti quelli che negli ultimi anni ci hanno provato. “Esplicitare nell’articolo 2 e 9 della Costituzione i principi di responsabilità generazionale e ambientale” ovvero inserendo ad esempio all’art. 9 il seguente testo: “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica [cfr artt. 33, 34]. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione. Riconosce e garantisce la tutela dell’ambiente come diritto fondamentale“. Immaginiamo solo per un attimo quanto possa essere vasta l’interpretazione di “tutela dell’ambiente” come diritto costituzionale, pensiamo – una volta che questo settore avrà ricevuto i fondi che gli spettano – di quali poteri possano essere espressione i 5-9 membri della “Corte suprema per lo sviluppo sostenibile” e proviamo a ricordare com’è andata l’ultima volta che le competenze di una forza (vera) di difesa dell’ambiente (il Corpo Forestale dello Stato) è stata fusa in un’altra.

L’ipoteca che ha posto Beppe Grillo sul Ministero dell’Ambiente è una posta politica, che serve ad alzare il tiro e male che va, garantirsi la guida di via Cristoforo Colombo. C’è una fatto, che bisogna riconoscergli: è stato il primo ad accorgersi che l’ambiente, non è più un tema secondario.

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