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Oceani, alla scoperta del microbioma: la goletta Tara ripercorre la rotta di Darwin
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La striscia

Espressione dell’intera vita unicellulare degli Oceani, il microbioma è una delle chiavi del benessere del pianeta ma gran parte del suo funzionamento è ancora sconosciuto. A svelare i segreti del mondo invisibile degli oceani saranno i 200 scienziati coinvolti nella spedizione “Tara – Mission Microbiomes”. La spedizione si svolgerà nel contesto della United Nations Decade of Ocean Sciences for Sustainable Development. (https://www.oceandecade.org/).

Il microbioma è infatti l’insieme degli organismi unicellulari che vivono sospesi nelle acque degli oceani: dalle microalghe che sono delle vere e proprie piante in miniatura ai batteri con la miriade delle loro attività chimiche, agli organismi unicellulari che predano altri organismi cellulari.

Svolge un ruolo essenziale nella produzione dell’ossigeno che respiriamo, cattura l’anidride carbonica, è il primo anello dell’intera catena alimentare dei mari, è il mattone principale dell’intero ecosistema marino. Si sa che il microbioma svolge un ruolo fondamentale nei meccanismi climatici e che come una immensa foresta subacquea cattura, attraverso la fotosintesi di microalghe e cianobatteri, l’anidride carbonica disciolta nell’acqua di mare, si sa molto della sua composizione, ma si ancora molto poco dei suoi processi di funzionamento. Scoprirli significherebbe fare luce non solo sul benessere dei mari ma sulla salute di tutto il pianeta. 

IL RUOLO DELLA SZN, ITALIA PROTAGONISTA

Co-diretta da Daniele Iudicone (Primo ricercatore al Istituto Nazionale di Biologia, Ecologia e Biotecnologie Marine, coordinatore del progetto AtlantECO e co-direttore della spedizione Tara Mission Microbiomes) della Stazione Zoologica Anton Dohrn, insieme a Colomban de Vargas (direttore di ricerca, direttore del Tara Oceans Research Federation – GO-SEE, e co-direttore della spedizione Tara Mission Microbiomes) e Chris Bowler (Direttore scientifico del Tara Oceans Consortium, directtore del Tara Ocean Foundation’s scientific committee, direttore di ricerca e co-direttore della spedizione Tara Mission Microbiomes) del CNRS francese e a Romain Troublé (Executive Director) della Tara Ocean Foundation, la spedizione “Tara – Mission Microbiomes” è la spedizione flagship (principale) di AtlantECO, promosso dalla Stazione Zoologica Anton Dohrn e finanziato dall’Unione Europea nell’ambito del Programma Quadro Horizon 2020 per un valore di 11 milioni di euro. Iniziato lo scorso settembre, il progetto valuterà lo stato di salute dell’Oceano Atlantico per prevederne la risposta ai cambiamenti climatici. La spedizione durerà 2 anni e coinvolge 44 organizzazioni scientifiche di 14 paesi tra Europa, Cile, Brasile e Sud Africa. Con 20 tappe e 70 mila chilometri in totale: un’impresa scientifica di larga scala in cui 200 scienziati uniranno le loro forze per studiare l’Atlantico dall’Equatore all’Antartide per determinare la struttura e la funzione del microbioma, verificare la presenza e l’impatto di inquinanti quali le microplastiche, valutare il suo ruolo di “sensore” dello stato dell’ecosistema marino e, con esso, dell’intero pianeta.

DAL MICROBIOMA DIPENDE LA SALUTE DEL PIANETA

Lo stato di salute del microbioma e la sua distribuzione negli oceani – spiega Daniele Iudicone, anche coordinatore del progetto AtlantECO influenzano l’intero ecosistema oceanico equindi, i servizi alla società, per esempio le risorse per l’uomo fornite dalla pesca e aquacultura, e anche il clima del nostro pianeta. Infatti – continua lo scienziato della Stazione Zoologica Anton Dohrn di Napoli – esattamente come il microbioma umano, ovvero i miliardi di microrganismi che vivono nel nostro intestino, è essenziale per la nostra salute ed influisce sulla nostra digestione e sulla nostra resistenza agli agenti patogeni, lo stesso è per l’oceano: il suo microbioma è assolutamente cruciale”. “Tuttavia, mentre il microbioma umano è ben studiato, le funzioni di oltre il 50% dei geni microbici presenti nell’oceano devono ancora essere scoperte” aggiunge Colomban de Vargas.

Abbiamo una chiara comprensione della composizione del microbioma oceanico, tuttavia non abbiamo una comprensione altrettanto chiara sulle sue funzioni. In altre parole, la domanda che ci siamo posti e cui intendiamo dare una risposta non è tanto su “cosa c’è?” ma piuttosto “quale microrganismo fa cosa”, aggiunge Chris Bowler, direttore scientifico del Tara Oceans Consortium, direttore del Comitato Scientifico della Tara Ocean Foundation, direttore di ricerca del CNRS e co-direttore della missione Tara Microbiomes.

PECULIARITÀ SCIENTIFICHE DELLA MISSIONE

L’obiettivo principale è capire il funzionamento del microbioma. A questo scopo, a bordo di Tara, gli scienziati raccoglieranno microorganismi marini in vari contesti ambientali, dalle calde acque tropicali arricchite dal Rio delle Amazzoni alle gelide scie di acqua dolce e ricca di ferro lasciate dagli icebergs nel loro lento sciogliersi nel viaggio verso l’oceano aperto.  Grazie agli sviluppi tecnologici, i ricercatori saranno in grado di sequenziare DNA ed RNA della totalità dei campioni raccolti durante la missione, cosa inimmaginabile fino a pochi anni fa.

Gli scienziati misureranno un gran numero di parametri ambientali, tra cui temperatura, livello di ossigeno, presenza di nutrienti e inquinamento da plastica. La colossale mole di dati generata da questa nuova missione sarà archiviata e condivisa con l’intera comunità scientifica, contribuendo agli sforzi planetari per analizzare e modellare gli ecosistemi marini.

Insieme alla Fondazione Tara e al CNRS, abbiamo concepito e disegnato l’intera spedizione – evidenzia ancora Daniele Iudicone – e preparato la pianificazione, inclusa la definizione dei protocolli e ne dirigeremo insieme le operazioni giorno per giornoIn linea con l’idea di oceanografia innovativa che stiamo sviluppando da tempo all’interno del nostro Osservatorio Marino Aumentato “NEREA” nel Golfo di Napoli, abbiamo impostato la spedizione secondo una filosofia hypothesis-driven, ovvero un piano di campionamento guidato da specifiche domande scientifiche, invece di fare un classico campionamento regolare. Inoltre, nello stesso spirito, integreremo fisica, chimica, biologia molecolare ed ecologia con gli approcci più innovativi e uno spirito fortemente internazionale e multidisciplinare”.

IL VELIERO TARA COME IL BEAGLE, ALLA SCOPERTA DELLA VITA SULLA SCIA DI DARWIN

Salpata lo scorso 12 dicembre dal porto di Lorient, in Francia, la goletta Tara della Tara Ocean Foundation è un vero e proprio laboratorio galleggiante. Le prime tappe della missione, dopo aver attraversato l’Atlantico, saranno le coste sudamericane, ripercorrendo in gran parte l’itinerario della celebre spedizione che il giovane Charles Darwin compì a bordo della goletta Beagle dal 1831 al 1836, esperienza che, come è noto, fu decisiva per l’elaborazione della teoria dell’evoluzione delle specie per selezione naturale.

Esiste una sovrapposizione quasi completa con il percorso Beagle attorno al Sud America, dal Brasile alle Galapagos. Proprio in quella parte del viaggio – chiarisce Iudicone – la biogeografia degli organismi terrestri e i relativi resti fossili lo convinsero che la diversità evolvesse nel tempo. Anche noi andremo a studiare la biogeografia (del microbioma oceanico) non tanto per descriverla ma per capire i processi che la determinano”.

LE OSSERVAZIONI DI DARWIN SULLA BIOLUMINESCENZA DEL PLANCTON

Meno noto degli altri suoi enormi contributi alla scienza dell’evoluzione, è l’interesse che Charles Darwin nutrì nei confronti delle specie marine, anche di quelle microscopiche. Darwin fu il secondo nella storia della scienza a utilizzare un retino per campionare il plancton. Intuì inoltre che questi esseri viventi microscopici erano la base che permetteva ai grandi animali (pesci, cetacei) di vivere negli oceani, ritenuti precedentemente deserti di vita. “Darwin – precisa Iudicone – fece delle osservazioni sulla bioluminescenza del plancton che, di notte, creava dietro la nave una scia luminosa “come fosforo liquido”. Notò anche che sia la polvere sulle isole di Capo Verde sia quella usata dai nativi in Patagonia per colorarsi il viso fosse fatta di plancton, probabilmente fossile. E, al suo ritorno, ne fece studiare dei campioni ad un esperto. Concluse che la sorprendente bellezza e varietà delle loro forme, a noi invisibili, non era semplicemente una testimonianza della magnificenza divina (come si riteneva quando si pensava che le specie fossero state create da Dio singolarmente all’inizio dei tempi) ma che fosse l’indizio della lenta evoluzione di una loro funzione specifica”.  

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