La visione ecologica di Fratelli d’Italia nell’intervista a Nicola Procaccini: dalla “cinta verde urbana” che regola il consumo di suolo al rapporto tra attività umane e fauna selvatica, passando per la critica al “furore ideologico” e alle perplessità sul Recovery Plan.
Risolta la questione del “sottogoverno” con le nomine dei sottosegretari, il Governo Draghi si trova a fare i conti con la terza ondata di Covid, che tutti gli indicatori danno già in corsa. L’alba di un nuovo Dpcm è attesa per queste ore mentre tutti i ministeri stanno correndo per proseguire i lavori sul Recovery Plan: ogni giorno che passa, la scadenza di fine aprile si avvicina e l’Europa non aspetta. In questa contemporaneità di urgenze, per l’ambiente si è aperta ufficialmente l’era della “transizione ecologica”, tenuta a battesimo lo scorso 26 febbraio dal neo-ministro Roberto Cingolani con il cambio del nome del dicastero di via Cristoforo Colombo che, con grande disappunto di una parte dell’ambientalismo, ha assunto il nuovo nome di Ministero della Transizione Ecologica. “E’ grave che nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza non vi sia traccia di tutela degli ecosistemi né di conservazione della biodiversità” aveva tuonato la Lega Italiana Protezione Uccelli (Lipu), seguita da una buona parte di professionisti abituati a lavorare sul campo (biologi, naturalisti e accademici) che si sentono improvvisamente messi da parte proprio da chi avrebbe dovuto sostenerne e valorizzarne le funzioni. L’ambiente è diventato dunque un argomento di conversazione politica come mai prima era stato, anche se c’è chi si è esposto meno degli altri: l’unico partito all’opposizione non ha ancora scoperto le carte su quale sia la propria visione della tutela dell’ambiente nonostante Giorgia Meloni, sua leader, abbia ricordato in più di un’occasione che la storia della destra italiana è anche la storia di una lunga tradizione ecologista, avviata dal Fronte della Gioventù negli anni ’80.
Quaranta anni dopo, abbiamo chiesto a Nicola Procaccini, europarlamentare e responsabile del dipartimento Ambiente di Fratelli d’Italia, se l’anima green della destra italiana sia ancora sveglia e pronta a cogliere la sfida della “transizione ecologica”. “Fratelli d’Italia ha una visione ecologica coerente con la sua appartenenza alla grande famiglia dei partiti conservatori europei. D’altra parte, il nostro obiettivo politico di «conservare» il grande patrimonio di cui siamo eredi in termini culturali, artistici, economici e filosofici, non può che essere applicato anche al patrimonio naturale. Aggiungo che la nostra visione ecologica non è scindibile da una tensione religiosa, come invece accade con l’ambientalismo materialista delle sinistre. Questo pensiero lungo e profondo ci permette di chiudere il cerchio con il rispetto della vita in tutte le sue forme e in tutti i suoi stadi”.
Questo è il momento in cui si discute del Recovery Plan e della grande quota dedicata alla riconversione “green” del modello di sviluppo. Lei cosa ne pensa? Mi rendo conto che talvolta sia necessario prendere le distanze da un furore ideologico di cui l’Unione Europea sembra essere vittima e complice nello stesso tempo. Credo che un certo ambientalismo rappresenti un surrogato del comunismo che ha lasciato troppi orfani in questo secolo, al punto da spingerli a trovare riparo presso un altro massimalismo, quello cosiddetto «green». Ciò si traduce in politiche violente e vagamente sospette che mirano a raggiungere obiettivi tutto sommato positivi, ma con la forza dell’imposizione coercitiva. Viceversa noi riteniamo che alle tasse e ai divieti brutali si debbano preferire gli incentivi nei confronti della ricerca tecnologica, della produzione sostenibile. In questo senso diventa fondamentale impiegare bene le risorse del Recovery Fund, soprattutto in ambito energetico, piuttosto che diluirlo in una infinità di bonus a pioggia. Come già accaduto con il precedente governo.
Agricoltura: l’industria intensiva sta stravolgendo la tradizione rurale italiana fatta di piccoli appezzamenti familiari multicolturali in grado di garantire un’economia territoriale e mantenere la biodiversità, per trasformare il suolo agricolo in vaste aree intensive. Lei che ne pensa di questo, ha in mente un modello agricolo che possa essere al contempo moderno ma che tuteli le comunità, il lavoro e l’ambiente? E’ necessario promuovere l’agricoltura di precisione con adeguati sostegni economici, affinché si possa cambiare il sistema produttivo attraverso il matrimonio fra vecchie tradizioni e nuove tecnologie. Ci sono tante buone pratiche in questo senso, ancora poco conosciute e valorizzate. Capaci di migliorare la qualità dei prodotti e nello stesso tempo di ridurre le esternalità negative. Bisogna avere la voglia, (la possibilità) ed il coraggio di innovare. Mi piacerebbe introdurre in Italia una delle più felici proposte legislative dei Tories, i conservatori inglesi: la cosiddetta “Green Belt”. E’ una norma che regola il controllo dello sviluppo urbano in Gran Bretagna. L’idea centrale è quella di un anello verde intorno ai centri abitati al fine di contrastare l’urbanizzazione a favore della preservazione di aree occupate da terreni agricoli, aree boschive e luoghi di svago all’aria aperta. Mi piace pensare che prima o poi ci possa essere anche in Italia una stagione di governo autenticamente conservatrice, nella quale dimostrare l’efficacia delle nostre proposte. Chissà che non stia per arrivare.
Ci sono zone d’Italia infatti in cui lo sviluppo imprenditoriale incontra le aree naturali e ne scaturisce un conflitto aspro tra attività umane e fauna selvatica, in special modo con grandi predatori come orsi e lupi. Una “green belt” può senz’altro aiutare, ma lei ritiene che una convivenza sia possibile? Ritorna il nostro pensiero lungo, radicato nei secoli e non in una moda «new age» del momento. Il rapporto tra uomo e animale per quanto ci riguarda è sacro, come lo è per tutti i popoli dotati di spiritualità. Non paritario, ma complementare. Siamo a favore della caccia e contro gli allevamenti intensivi perché nel primo caso rivendichiamo una antica tradizione di sopravvivenza, di cui non dobbiamo affatto vergognarci. Mentre nel secondo caso dovremmo vergognarci di certi eccessi che finiscono con il privare di dignità gli animali, facendoli soffrire inutilmente, sprecandone il sacrificio, oltre che depauperando risorse preziose come quelle idriche. Quindi, se esseri umani e animali possono convivere, devono farlo. Se invece non è possibile come accade in certe circostanze, bisogna prenderne atto senza ipocrisia.
Cosa non le piace della nuova era della transizione ecologica? L’ideologia globalista con il volto di Greta Thunberg, che teorizza il grande Stato mondiale cui consegnarsi totalmente, perché il solo in grado di poter sconfiggere il mostro del riscaldamento globale ed evitare l’imminente catastrofe, giustificando così ogni suo intervento: dalla imposizione di tasse verdi alla regolamentazione dirigistica di ogni attività produttiva in nome della sostenibilità. Perché è tutto a scapito della identità e dell’autodeterminazione della nazione, sacrificando quella che, per dirla con le parole di Roger Scruton, è la oikophilia, cioè l’amore per la propria terra e per il proprio paese.