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Il green pass, un’infame pratica ricattatoria
I

La striscia

Occorre avere l’onestà ancor prima del coraggio di dirlo apertamente, senza perifrasi e senza timori: il green pass o passaporto vaccinale che dir si voglia è una infame pratica ricattatoria indegna di un Paese civile e democratico. Si tratta a tutti gli effetti di una pratica discriminatoria oscena, che merita il massimo disprezzo e la massima opposizione da parte della comunità dei cittadini che ancora si riconoscano nei valori fondamentali della democrazia, della libertà e della Costituzione e che non siano disposti a piegarsi allo squallore infinito del nuovo Leviatano tecnosanitario.

In particolare, giova rammemorare l’ovvio nel tempo della menzogna universale: i diritti fondamentali previsti dalla nostra Costituzione, dal diritto di movimento a quello di assemblea, non sono in alcun modo vincolati e vincolabili a presunti passaporti verdi, gialli o fucsia. Un diritto non è una gentile concessione revocabile a comando. È, invece, una conquista che nessuno può toglierci e che all’occorrenza deve essere difesa in ogni modo. Chi ci propone un “green pass” per poter riottenere diritti che – ripeto, dalla libertà di spostamento a quella di accesso ai luoghi pubblici – ci sono garantiti dalla Costituzione è un malfattore. E ugualmente un malfattore è chi prova a giustificare tale abominio con il nobile nome della scienza. Non vi è virus al mondo in nome del quale si possano mettere in congedo le libertà, i diritti e la Costituzione. Una scienza che ce lo chiedesse, non sarebbe scienza ma squallida ideologia proprio come squallida ideologia era quella che legittimava in termini falsamente scientifici l’infame dottrina della razza nel 1938 o l’aberrante dottrina eugenetica. Come sono stati possibili i lager nazisti? Facendo finta di nulla, rispondeva Primo Levi, cioè spostando lo sguardo dall’altra parte, accettando in silenzio, ma con passività e, come oggi userebbe dire, con “resilienza”.

Ormai dovrebbe essere chiara a tutti la mistificazione del nuovo ordine terapeutico: hanno trasformato la società in una clinica, i cittadini in pazienti sottomessi a prescrizioni mediche corrispondenti ad altrettante norme repressive. Cure, terapie, virologi e lessico medico compiono l’esodo dall’ambito stricto sensu ospedaliero per occupare l’intero spazio della società, ora ridefinita come una clinica di malati che debbono sottoporsi all’autorità del medico e ai suoi imperativi, presentati come unica salvezza possibile. Per questo motivo, nel quadro del nuovo Leviatano tecno-sanitario non vi sono più i cittadini autonomi, soggetti di diritto, che – come è proprio delle democrazie – decidono della propria esistenza: in luogo dei cittadini soggetti di diritto, vi sono i pazienti da curare, della cui vita decidono gli esperti in camice bianco. La condizione del libero cittadino, legato allo Stato ma pur sempre nella forma di una libera individualità, è spodestata da quella del malato che dipende in toto dalle cure del medico e che ha come obiettivo primario (nel cui nome affrontare ogni sacrificio) la garanzia della propria salute. Né, del resto, è la prima volta nella storia che la medicina si fa ancella ideologica della politica. Come ha ricordato Roberto Esposito nel suo studio “Bios” in relazione al regime nazista, “se il potere ultimo calzava gli stivali delle SS, l’auctoritas suprema vestiva il camice bianco del medico”. In quanto tutti potenzialmente “malati asintomatici”, gli uomini precipitano in un inedito limbo, che li rende destinatari necessari, tendenzialmente anche contro la loro volontà, del tampone e del test sierologico, del vaccino e dell’ininterrotta misurazione della temperatura corporea. Il suddito della nuova locked down society deve sempre essere pronto a esibire i propri certificati “in regola”, che siano i “pass vaccinali” o i “tamponi negativi”. Egli si trova, de facto, privato di diritti e libertà inalienabili (non v’è quasi più diritto che non possa essere sequestrato in nome della protezione della nuda vita) e, insieme, soggetto a sempre aggiornati obblighi che, in nome della salute come dovere, non può esimersi dal rispettare.

Nel deserto generale, la notizia buona è che i francesi non accettano in silenzio: stanno già iniziando a rivoltarsi da Marsiglia a Parigi contro l’infame regime terapeutico voluto e imposto dal blocco oligarchico neoliberale transnazionale. Ed è significativo che tutto sia ancora una volta partito il 14 di luglio…Viva la Francia che, memore della propria storia, si ribella in nome della libertà e della dignità. Impartisce una lezione ai popoli europei: quando la dignità e la natura umana vengono calpestate, non si può tacere, occorre reagire.

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