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Transizione ecologica, altra mazzata in Maremma: 100 ettari agricoli diventano bambù gigante (esotico invasivo)
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La striscia

Elena Livia Pennacchioni
Elena Livia Pennacchioni
Vedo il mondo da 1 metro e 60, l'altezza al garrese del mio Attila. Sono l'addetta stampa della biodiversità, romana di nascita e veronese d'adozione, ma con il cuore ha in Umbria. Scrivo di animali, piante e qualche volta di come l'uomo riesce a salvarli!

“Preoccupazioni per la biodiversità basate su studi internazionali perché la sua coltivazione rappresenta un cambio di uso del suolo praticamente irreversibile ed è fortemente invasiva”, precisa la Società Botanica Italiana. La piantagione è vicinissima alla Riserva Naturale della Diaccia Botrona e, in una lettera inviata al Presidente della Regione Toscana, gli esperti sottolineano: “Non la chiamate green economy”

In una lettera inviata al Presidente della Regione Toscana, la Società Botanica Italiana – l’associazione che riunisce docenti universitari e specialisti di scienze botaniche – ha espresso preoccupazione per la notizia secondo la quale nella Maremma Grossetana, presso Castiglione della Pescaia, sono iniziati i lavori per convertire un chilometro quadrato di terreni agricoli nella più grande piantagione industriale di bambù gigante d’Europa. Si tratterebbe per le sue dimensioni di un’operazione mai tentata prima in Italia, presentata alla stampa come un esempio di economia “verde”. “Sulla base delle esperienze internazionali, riteniamo l’iniziativa potenzialmente molto pericolosa per la biodiversità” ha scritto l’associazione dei botanici italiani. Infatti, il bambù gigante è una specie di origine cinese, che si espande mediante fusti striscianti sotterranei (rizomi) tra i quali non possono crescere le piante autoctone, né vivere la fauna selvatica. La sua coltivazione rappresenta un cambio di uso del suolo praticamente irreversibile”. 

Basti pensare che In Italia, la Giunta Regionale della Lombardia ha inserito il bambù nella ‘Lista Nera’ delle specie oggetto di monitoraggio. Ma intanto che i professori, gli accademici e le personalità che si occupano di botanica e conservazione degli ecosistemi da tutta la vita si sbracciano per cercare di far capire che trattasi di un errore “verde” più che di “economia “verde”, Forever Bambù avrebbe completato la piantumazione dei primi 40 ettari ed entro il prossimo anno, dovrebbe completare i 104 ettari previsti dal piano colturale realizzando il più grande bambuseto d’Europa. Si tratta di un’azienda fondata da un imprenditore milanese che negli anni ’90 ebbe il merito di avviare la più grande catena europea specializzata in integratori alimentari, la Vitamin Store. Con un orgoglio malcelato, si legge sul sito di Forever Bambù: “Oggi Emanuele (Rissone nda) sta ricreando il medesimo successo con il bambù gigante, pianta con una coltivazione industriale intensiva ancora assente in Europa”. Insomma, non essendo presente nel Vecchio Continente, parrebbe a Forever Bambù un vero colpo di genio imprenditoriale quello di inserirlo nell’ecosistema agricolo toscano.

Se questo non bastasse a tratteggiare i contorni già grotteschi dell’operazione, ci si aggiunga che la piantagione è vicinissima alla Riserva Naturale della Diaccia Botrona, un’area palustre di eccezionale valore per l’avifauna e la flora. “Il bambù si diffonde soprattutto lungo fossi e corsi d’acqua” dice Federico Selvi, professore ordinario di Botanica Ambientale all’Università di Firenze ed esperto della flora della Maremma, “quindi il sito è particolarmente mal scelto: l’eventuale invasione del bambù potrebbe raggiungere la zona protetta e gli altri ecosistemi circostanti. Sarebbe inoltre essenziale, in un ambiente così pregiato,  uno studio preliminare della flora e fauna preesistenti nei terreni da convertire”.

“Le nostre preoccupazioni hanno carattere esclusivamente scientifico. Abbiamo chiesto alla Regione Toscana di effettuare approfondite valutazioni di compatibilità ambientale, con particolare riferimento all’area protetta adiacente, e di richiedere all’azienda un documento di valutazione dei rischi” precisa Alessandro Chiarucci, professore ordinario di Botanica Ambientale all’Università di Bologna e Presidente della Società Botanica Italiana. Purtroppo però, nei Paesi in cui da tempo si è forzata l’introduzione industriale di specie vegetali alloctone come il bambù (vedi Giappone e Sudamerica), numerosi studi scientifici hanno documentato una situazione allarmante. Gli studi hanno anche previsto un aumento della sua invasività ed un’espansione incontrollata col riscaldamento climatico globale.

I commenti apparsi sui media negli ultimi giorni a difesa dell’iniziativa, argomentando che anche il pomodoro o l’arancio sono specie esotiche, “ignorano un concetto cardine dell’ecologia, ossia che le varie specie hanno diverso grado di invasività” spiega Goffredo Filibeck, docente di Conservazione del Paesaggio Vegetale all’Università della Tuscia: “Le piante da frutto sono altamente dipendenti dall’uomo e di solito non sono capaci di invadere gli ecosistemi; invece il bambù è coltivato proprio per la sua eccezionale capacità di crescita, ed è già stata dimostrata in altri Paesi la sua pericolosità per la natura”. 

“Le piantagioni di bambù sono presentate come un esempio di green economy, a causa della asserita capacità di assorbire CO2. A parte il fatto che è molto difficile valutare questo aspetto (anche a causa del breve ciclo di vita dei prodotti in bambù), va ricordato che la lotta al cambiamento climatico deve servire proprio a garantire la stabilità degli ecosistemi, che sono però in grado di funzionare solo se integri nella loro biodiversità naturale” concludono gli esperti.

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