(Adnkronos) –
I prodotti alimentari ‘senza’ attraggono e coinvolgono maggiormente il consumatore rispetto ai prodotti convenzionali. Se questa notizia può non meravigliare, visto il trend dei consumi free from in continua crescita da qualche anno, la vera sorpresa è che il potere seduttivo dell’etichetta ‘senza’ può spingere i cittadini a puntare su alimenti nei quali l’ingrediente ‘mancante’ è incongruente o addirittura salutare. Sono questi i risultati di uno studio sperimentale dell’EngageMinds Hub, Centro di ricerca in psicologia dei consumi dell’Università Cattolica di Cremona, condotto nelle scorse settimane con il contributo non condizionante dell’Unione italiana olio di palma sostenibile, sui consumi ‘free from’, con un particolare focus sull’olio di palma.
Vediamo qualche dato. Posti di fronte al packaging di un cracker salato e di una merendina dolce, entrambi immaginari e creati per l’esperimento, il 38% dei consumatori coinvolti ha indicato come di particolare qualità la versione convenzionale. Ma quando al campione di cittadini sono stati sottoposti gli stessi prodotti con etichette ‘senza’, le cose sono cambiate. Il 45% considera di particolare qualità il prodotto ‘senza olio di girasole’; una quota che sale al 51% se ‘senza olio di palma’. Ma attenzione: il 48% dei consumatori ritiene di qualità il (fittizio) prodotto ‘senza CO2’ e il 48% attribuisce qualità al ‘senza grassi polinsaturi’ (nonostante essi siano benefici per la salute).
“Sono molti gli elementi che ci impongono una riflessione su questi risultati – spiega la professoressa Guendalina Graffigna, ordinario di psicologia dei consumi e direttore dell’EngageMinds Hub. Innanzitutto, “emerge che a tutti i prodotti ‘senza’ il consumatore attribuisce un plus di qualità percepita rispetto al prodotto connotato come convenzionale. In secondo luogo, è da rilevare come il claim ‘senza olio di palma’ venga apprezzato più degli altri e questo, probabilmente, è conseguenza della maggior stigmatizzazione mediatica che questo ingrediente ha subito negli ultimi anni”.
Ma soprattutto, prosegue Graffigna, “è da rimarcare come molti cittadini vedano una maggior qualità in un prodotto senza CO2, un ingrediente inventato a solo fine sperimentale, e addirittura in alimenti senza quei grassi polinsaturi che, al contrario, da anni sia la letteratura scientifica che la divulgazione mediatica indicano come fattori promotori della salute. E questo, anche al netto di carenze di literacy in campo alimentare, la dice lunga sull’impatto emotivo e psicologico del fattore ‘senza’ al di là della considerazione razionale dell’ingrediente in questione”.
La ricerca dell’EngageMinds Hub è andata a indagare altri fattori. Chiedendo, ad esempio, al campione di consumatori coinvolto di specificare la visione che essi hanno sulla salubrità dei prodotti. E anche in questo caso, a fronte di un 32% che ritiene sani gli alimenti convenzionali, la percezione di salubrità è maggiore per i prodotti ‘senza olio di girasole’ secondo il 40% dei cittadini; e ben il 51% dei rispondenti attribuisce una maggiore salubrità ai cibi ‘senza olio di palma’. E di nuovo, quote elevate della popolazione attribuiscono maggior salubrità ai prodotti senza CO2 (48%) e a quelli senza grassi polinsaturi (46%) rispetto al prodotto convenzionale.
Gli stessi atteggiamenti vengono rilevati anche considerando gli aspetti legati alla sostenibilità ambientale degli alimenti. Più della metà degli italiani (52%) ritiene i prodotti ‘senza olio di palma’ più sostenibili dei convenzionali. Mentre una frazione minore ma sempre molto elevata (47%) vede più sostenibili i prodotti ‘senza olio di girasole’. Elevata anche la quota di consumatori che indica come più rispettosi dell’ambiente i cibi ‘senza CO2’, probabilmente per una connessione inesistente sul piano fattuale ma pregnante dal punto di vista psicologico, trattandosi di un immaginario ingrediente alimentare, tra anidride carbonica e sostenibilità ambientale.
Infine, il 44% propone i prodotti ‘senza grassi polinsaturi’ quali più rispettosi dell’ambiente. Ovviamente, gli atteggiamenti registrati dallo studio del Centro di ricerche dell’Università Cattolica di Cremona si riverberano sulle intenzioni di acquisto di questi prodotti. “Le diverse etichette impattano sui consumatori – fa notare Greta Castellini, ricercatrice presso l’EngageMinds Hub. Tanto che essi sono maggiormente intenzionati a comprare i prodotti ‘senza’ indipendentemente dall’ingrediente eliminato rispetto al prodotto convenzionale, con una particolare preferenza per i prodotti senza olio di palma”.
“È importante sottolineare che questi risultati sono frutto di un esperimento di psicologia dei consumi”, sottolinea la professoressa Guendalina Graffigna. L’etichetta ‘senza’ “determina una forte distorsione cognitiva nella valutazione dei prodotti alimentari. Tanto che induce i consumatori a pensare che quel prodotto sia anche di maggiore qualità, più salutare e più rispettoso dell’ambiente indipendentemente dal tipo di ingrediente eliminato poiché ciò che guida la valutazione è l’etichetta ‘senza’ e non l’ingrediente escluso. Come EngageMinds Hub – conclude Graffigna – ci occupiamo da anni di queste tematiche, un lavoro che stiamo sviluppando grazie al laboratorio di psicologia dei consumi nel nuovo campus dell’Università Cattolica di Cremona”.