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Long Covid, sintomi, quanto dura: cosa dicono Bassetti, Galli, Gismondo e Pregliasco
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La striscia

(Adnkronos) – Quanto dura il Long Covid e quali sono i sintomi nei pazienti che, archiviata l’infezione da coronavirus in sé e per sé, hanno ancora strascichi e non si sentono più pienamente come prima? Uno studio cinese pubblicato su ‘The Lancet Respiratory Medicine’, l’indagine con il follow-up più lungo condotta finora, ha evidenziato come più della metà (55%) di chi è stato ricoverato per Covid-19, dopo 2 anni presenta ancora almeno un sintomo della malattia. 

“L’Istituto superiore di sanità sta analizzando tutta una serie di casi per aver contezza di quelli che sono i sintomi – spiega il sottosegretario alla Salute Andrea Costa, ospite di ‘TimeLine’ su SkyTg24 – E’ un tema nei confronti del quale dovremmo fare i conti nei prossimi mesi. Si era detto che c’era incertezza su quelli che potevano essere le conseguenze del Long Covid. Indubbiamente solo il monitoraggio nel tempo ci dirà quelle che sono le problematiche. Uno dei motivi per cui abbiamo insistito sulle vaccinazioni era la protezione dalla malattia e dalle conseguenze gravi. Long Covid è tema su cui dobbiamo essere pronti e dare risposte ai cittadini”. 

BASSETTI – I dati dello studio cinese sul Long Covid pubblicati su ‘The Lancet Respiratory Medicine’ “sono impressionati, ma sono riferiti alla prima ondata della pandemia – commenta all’Adnkronos Salute Matteo Bassetti, direttore Malattie infettive del Policlinico San Martino di Genova – Anche noi abbiamo lavorato sulle conseguenze a breve e lungo termine della malattia da Covid: gli ex pazienti lamentano stanchezza, problemi di memoria e anche problemi respiratori. Ma la domanda che dobbiamo porci è quella riferita all’arrivo dei vaccini”, perché “chi ha avuto il Covid da vaccinato non ha stessa sintomatologia di un non vaccinato. E questo sembra valere anche per il post Covid”, mentre “i guariti non vaccinati hanno avuto strascichi simili a chi ha avuto la polmonite a marzo-maggio e a ottobre-dicembre 2020. Quindi lo spartiacque è la vaccinazione”.  

“Forme di Long Covid e post Covid importanti le vediamo oggi in chi non è vaccinato – prosegue Bassetti – Che arrivino fino a 2 anni mi sembra un po’ tanto, ma ne prendiamo atto. Lo studio dimostra che questo è un virus aggressivo, che causa una malattia grave perché c’è una interazione tra virus e sistema infiammatorio. E’ una malattia infettivo-infiammatoria non classica e questa sinergia crea più danni. Dallo studio cinese arriva un messaggio chiaro”, ribadisce l’esperto: “La vaccinazione fa la differenza”. 

CLERICI – “Il Long Covid e il suo impatto lo capiremo meglio con il tempo. Nel bene e nel male. Ma, a giudicare dagli ultimi dati su questa problematica, possiamo essere sicuri che nei prossimi anni ci sarà un aumento delle cronicità e delle necessità di terapie riabilitative. E serviranno risorse su questo. Perché ormai è confermato da ciò che vediamo: Covid è un problema che, sotto alcuni profili, non si limita al periodo dell’infezione ed è ormai confermato da quello che vediamo”. E’ la riflessione di Mario Clerici, docente di immunologia dell’università degli Studi di Milano e direttore scientifico della Fondazione Don Gnocchi. 

L’esperto commenta così all’Adnkronos Salute i dati dello studio cinese: “Continuano a uscire pubblicazioni. Questa è solo l’ultima in ordine di tempo, ma è in effetti la prima in cui si esaminano i dati a 2 anni. Comincia quindi a esserci un follow-up abbastanza lungo. Sono due i messaggi che ricavo da questo lavoro: il primo è positivo e ci dice che la percentuale di pazienti con sintomi post Covid dopo 2 anni si è ridotta rispetto a quella che si aveva dopo un anno. Il messaggio negativo, però, è che c’è ancora una percentuale cospicua di persone che hanno avuto il Covid due anni prima e stanno poco bene”.  

“Il che – prosegue l’immunologo – va a confermare quello che più o meno vediamo nella clinica: cioè c’è una percentuale di pazienti, che diminuisce nel tempo, ma resta una bella fetta, che continua ad avere sintomi, a star male, a esser debole o a respirare male, a sperimentare ancora nebbia intellettiva. E mi sembra che, al netto di tutto, quello che ci aspetta è un aumento delle cronicità nei prossimi anni. Avremo quindi una necessità di terapie non per acuzie, ma di gestione della cronicità e riabilitazione. Bisognerà capire come gestire tutte queste persone e farle migliorare nel modo più efficace e veloce possibile”.  

GALLI – “Stanno emergendo con sempre maggiore chiarezza le evidenze sul diffuso fenomeno del Long Covid. Io stesso ne ho esperienza personale. Tutto questo mi fa sostenere, con convinzione, che sbaglia profondamente chi sostiene che se ci si infetta con Omicron non è poi così grave. Questo virus è meglio non incontrarlo” dice all’Adnkronos Salute Massimo Galli, già direttore del reparto malattie infettive dell’ospedale Sacco di Milano, in merito ai nuovi dati evidenziati dallo studio cinese. 

“Non è detto che questo risultato possa essere esattamente trasposto alla nostra casistica italiana – osserva Galli – Ci sono evidentemente tanti aspetti da approfondire. Ma la lezione da tenere in considerazione, in assoluto, è che questa infezione ha ancora molti lati da chiarire. E dunque meglio non prendersela”.  

“Oggi non siamo ancora riusciti a venire a capo dei meccanismi implicati nel fenomeno del Long Covid – aggiunge l’infettivologo – e di quanto si potrebbe e dovrebbe fare per il contenimento, la cura e la gestione di questo tipo di problematiche. Bisogna sicuramente fare i conti con questo elemento anche a livello di organizzazione dell’assistenza”. 

GISMONDO – Il Long Covid sarà una ‘pandemia dopo la pandemia’? “Credo che il Covid non ci abbandonerà per moltissimo tempo, anche e soprattutto per i suoi effetti a lungo termine che dobbiamo monitorare”. Soprattutto, “dobbiamo cercare di capire se” queste sequele “si possono evitare con strumenti terapeutici” dice all’Adnkronos Salute la microbiologa Maria Rita Gismondo. 

Anche in Italia “stiamo raccogliendo dati e traendo deduzioni su pazienti monitorati dopo la guarigione da Covid – osserva la direttrice del Laboratorio di microbiologia clinica, virologia e diagnostica delle bioemergenze dell’ospedale Sacco di Milano – Vediamo che molti hanno disturbi anche dopo mesi”, anche “problemi della memoria, disturbi cognitivi, la maggior parte di lieve entità. Ma c’è stato uno studio abbastanza preoccupante – ricorda Gismondo – certo da confermare nel tempo, in cui è stato valutato il volume del cervello nei pazienti che hanno sintomi Long Covid, suggerendo che si riduce”.  

PREGLIASCO – L’infezione da Sars-CoV-2 ha “strascichi molto rilevanti, effetti che vedremo accumularsi nel tempo”. Per questo il virologo Fabrizio Pregliasco, docente all’università degli Studi di Milano e direttore sanitario dell’Irccs Galeazzi, ritiene che “più ospedali italiani dovrebbero attrezzarsi con centri Long Covid”, e propone “un progetto nazionale per definire quanti e dove”.  

All’Adnkronos Salute l’esperto sottolinea come le conseguenze a lungo termine della malattia siano “da comprendere a fondo” e come siano “necessari servizi mirati da rendere disponibili a tutti”. “Sono ormai tantissime – ricorda Pregliasco – le evidenze della rilevanza del Long Covid e della quota percentuale di persone colpite, con intensità e lunghezza varie”. E s’è c’è ancora “difficoltà nell’inquadrare questa patologia”, ormai è solida “la consapevolezza che il polmone è il principale obiettivo della fase acuta della patologia, ma il coinvolgimento a distanza interessa poi diversi apparati”. 

TOSATO – Per molti guariti da Sars-CoV-2 può iniziare il calvario della sindrome post Covid. Un insieme di sintomi che ancora non ha un perimetro clinico oggettivo, ma “sicuramente la persistenza di disturbi è molto importante: noi la troviamo nel 60-65% dei nostri pazienti e i dati del nostro osservatorio evidenziano che il range di età è 25-55 anni. La sfida per i sistemi sanitari è saper affrontare nei prossimi anni questa sindrome, dando una definizione oggettiva, e infatti stiamo collaborando con l’Istituto superiore di sanità (Iss) che ha un piano aperto sulle buone pratiche per il Long Covid, con cui standardizzare l’assistenza nei centri post Covid attraverso linee guida nazionali. Speriamo per la fine dell’estate di arrivare a un documento ufficiale”. Lo sottolinea all’Adnkronos Salute Matteo Tosato, responsabile Unità operativa Day hospital post Covid Fondazione Policlinico Gemelli Irccs di Roma. Il centro ha preso in carico, da aprile 2020, oltre 2.500 pazienti.  

“A differenza dello studio cinese” pubblicato su ‘The Lancet Respiratory Medicine’, “noi non abbiamo seguito solo i ricoverati – spiega Tosato – ma non abbiamo avuto modo di seguire tutti in modo continuativo per come era concepito il disegno assistenziale, ma abbiamo raccolto i dati dei nostri pazienti e li abbiamo valutati nel tempo”.  

Al momento il post Covid “non ha criteri diagnostici”, evidenzia l’esperto, e “il sintomo più comune è la ‘fatigue’, la stanchezza. Ovvero, per i guariti c’è una difficoltà nel riprendere la normale attività quotidiana, ma è chiaro che come percepisco la fatica è una cosa molto soggettiva. Non abbiamo, appunto, un criterio diagnostico condiviso a livello della comunità scientifica”. Ecco la necessità di linee guida a livello nazionale.  

L’arrivo del vaccino anti-Covid, ma anche delle variante Omicron e delle sue sottovarianti, ha cambiato il Long Covid? “Oggi – risponde Tosato – nel mio ambulatorio vedo ancora pochi guariti da Omicron con sindrome post. Omicron è una variante arrivata a gennaio in Italia e quindi abbiamo appena cominciato. Non abbiamo certezze per dire se l’arrivo di nuovi varianti e l’elevata copertura vaccinale hanno cambiato anche i sintomi del Long Covid. Alcuni dei sintomi più brutti a livello cardiovascolare, le aritmie, l’ictus o i disturbi respiratori, sono molto più comuni in coloro che hanno avuto forme severe. La fatigue invece si è dimostrata non correlata al grado di severità di malattia: chi ha avuto un Covid leggero ha avuto lo stesso una forma di stanchezza postuma”. 

Il post Covid rischia di diventare una vera e propria malattia con cui dovremo fare i conti nel prossimo decennio? “In parte è già cosi – avverte il responsabile Uo Day hospital post Covid del Gemelli – Guardiamo al Lazio: fino al 31 dicembre del 2021 siamo stati un Day hospital post Covid”, mentre “da gennaio su decisione della Regione si è aperto un percorso ambulatoriale per i pazienti post Covid, in pratica sdoganando la sindrome post Covid come condizione clinica. Quindi mi arriva il paziente con l’impegnativa del medico, con scritto post Covid. Attenzione però – conclude Tosato – Serve una standardizzazione di questi centri, per questo l’Iss sta lavorando a un documento che possa dare una linea unica a cui poi ogni centro dovrà attenersi”.  

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