(Adnkronos) – di Stefania Marignetti
Il biologico ucraino bloccato nei magazzini dove resta invenduto, le esportazioni ferme, un mercato che rischia di saltare completamente, con forti ripercussioni anche sull’Italia che negli anni ha sopperito a una produzione nazionale in costante calo, come quella del mais biologico, attraverso le importazioni, in particolare proprio dall’Ucraina. E’ lo scenario che si è aperto con la guerra in corso, “una tempesta perfetta”, come la definisce Aldo Cervi, coordinatore della sezione soci e servizi di FederBio.
“La situazione che si sta verificando, ad esempio con il mais assolutamente carente in Italia e di cui abbiamo bisogno, viene da lontano. La crisi ucraina ha accentuato questa situazione – spiega Cervi all’AdnKronos – Quello che succede oggi è che abbiamo il mais ucraino bloccato in Ucraina, i contratti sono stati in parte cancellati appellandosi alla causa di forza maggiore perché i produttori ucraini non riescono a farlo uscire dal Paese, il mercato è completamente saltato a fronte di produzioni italiane che hanno vissuto negli anni un costante calo. Una tempesta perfetta che evidenzia criticità precedenti”.
La produzione biologica ucraina si concentra su seminativi, colture estensive in particolare di frumento, girasole, mais, soia, colza e pisello proteico, colture importanti per l’Italia (soprattutto per il settore dell’allevamento biologico) che importa in particolare mais, soia e girasole. Secondo i dati Sinab, nel 2019 l’Italia ha importato 4.200 tonnellate di mais biologico, di cui 3.000 di origine ucraina; 6mila tonnellate di soia di cui circa 3mila di provenienza ucraina, quindi la metà; 3500 tonnellate di semi di girasole biologici, di cui 2.200 ucraini. Numeri che da soli danno le dimensioni del problema con uno stop delle esportazioni ucraine. E importiamo anche dalla Russia quindi il rischio è quello di un doppio impatto”, aggiunge Cervi.
“La crisi che stiamo vedendo con le difficoltà di approvvigionamento – spiega Cervi – non è legata alla carenza di prodotto, anche perché in questo momento si sta vendendo il prodotto della campagna agraria dell’anno scorso e sulla base delle informazioni che ho raccolto una buona parte delle semine appena concluse in questi giorni sono state effettuate, pur con difficoltà (si stima che circa un 30% della superficie agricola utilizzata in biologico in Ucraina abbia una accessibilità limitata a causa del conflitto in corso). Il problema è principalmente logistico, legato all’esportazione del prodotto”.
I principali canali di esportazione prevedono infatti il passaggio e lo stoccaggio del prodotto nei porti e uno spostamento via nave, ma i porti ucraini sono oggi tutti pressoché bloccati. I camion “sono quasi introvabili e con prezzi più che raddoppiati rispetto a febbraio, comunque non adeguati al trasporto di grandi quantità, senza contare che prima di febbraio erano operative nel settore diverse società di trasporto russe e bielorusse – aggiunge l’esperto di FederBio – Si sta cercando di organizzare il trasporto via treno, ma qui si devono rimappare tutti i canali logistici”.
I produttori ucraini però non sembrano voler gettare la spugna. “Nessun produttore risulta essersi fermato o aver manifestato l’intenzione di uscire dal biologico anche se un 15% si è dichiarato in procinto di fermare l’attività per motivi legati a problematiche quali carenza di carburante o di accesso a risorse finanziarie, e un 32% ha dichiarato un’operatività ridotta rispetto alle normali attività”. Di cosa hanno bisogno? “Il 70% ha manifestato la necessità di un sostegno finanziario, poi chiedono sostegno all’esportazione e per la promozione del mercato interno nazionale”.
Negli ultimi 5-6 anni il settore biologico ucraino si è confermato molto dinamico, vivace e in crescita. La superficie agricola biologica ucraina è passata dai circa 300mila ettari del 2018 ai 460mila nel 2022, un aumento in tre anni del 50%. Se l’Italia ha una superficie agricola nazionale utilizzata in biologico pari al 16% del totale, l’Ucraina viaggia attorno all’1% ma con questa crescita ha sicuramente delle grandissime potenzialità.
Ad oggi sono circa 650 gli operatori certificati stimati (erano circa 500 nel 2018), di cui 400 aziende agricole e circa 200 tra trasformatori, esportatori e stoccatori di prodotto e per la restante parte piccole realtà, dagli apicoltori alla raccolta spontanea. “Seicentocinquanta può sembrare un numero ridotto rispetto agli 80mila italiani ma le aziende del biologico ucraino hanno una dimensione diversa dalle nostre: sono aziende di grandi e medie dimensioni, da diverse centinaia ad alcune migliaia di ettari di superficie agricola utilizzata, mentre in Italia la media delle aziende agricole biologiche è di 28 ettari”, spiega Cervi.
Un biologico, quello ucraino, soprattutto concentrato sull’esportazione. Nel 2020, l’export bio del Paese è stato calcolato in circa 300mila tonnellate, 200mila delle quali verso l’Europa.