Nata e cresciuta a Roma, la mia metà di sangue è umbra. Frequentata da sempre, preferibilmente abbarbicata in sella. Ho conosciuto la coda della civiltà rurale, per via della frequentazione con le mie amiche campagnole. I loro nonni ammazzavano il maiale, l’unico pane che esisteva era quello fatto in casa e i gatti non dormivano sul letto ma nell’aia. I centri urbani sono piccoli in Umbria perchè il tessuto sociale è agricolo. Tutti hanno il proprio pezzo di terra, che garantisce ancora una certa indipendenza dal supermercato. E infatti l’incidenza dei centri commerciali per abitante è (ancora) tra le più basse d’Italia. Questo – oltre a sottrarre profitti alla grande distribuzione dell’industria globale – assicura ancora alla popolazione un’identità forte e una memoria viva, imperniate su legami familiari molto stretti. Peraltro in un ambiente rurale che si integra perfettamente con l’ambiente selvatico. Non ci sono grandi latifondi – anche grazie alla conformazione collinare – la gestione è ancora in mano alle piccole proprietà locali e la filiera del cibo rimane corta (se si vuole). Tuttavia, tra il 2020 e il 2021, l’Umbria ha battuto il record di cementificazione bruciando con nuove costruzioni un territorio di 112 ettari. L’anno prima? Un ettaro. E questo già la dice lunga sul fatto che qualcuno si è accorto di quanto fertile al cemento sia, la terra umbra.
Al netto del trend in ascesa sul consumo di suolo comunque, tutta questa identità sociale risulta fumo nero negli occhi del sistema industriale agricolo e alimentare, nonché un orrore per l’economia globalizzata. Che si nutre di consumatori indipendenti da qualsivoglia identità, liberi da qualunque vincolo tradizionale ma soprattutto, senza i mezzi per reperire autonomamente i prodotti di prima necessità. Et voilà che Todi, cittadina da sempre nel portafoglio delle élite romane che sin dagli anni ’90 l’hanno resa il loro salotto di campagna, diventa il palcoscenico perfetto dal quale lanciare l’ultimatum: “Tutto quello che voi conoscete, è male. Per il vostro bene e per quello del pianeta che amiamo tanto, è necessario un nuovo ordine alimentare”. E infatti, dal 16 al 19 settembre tra la patria di Jacopone e Perugia si terrà “The Edible Planet Summit”. Che per chi non vuole cedere agli americanismi, può significare più o meno “Vertice per un pianeta commestibile”. Un gran risalto sulla stampa che conta, manco a dirlo, dal Corriere della Sera a Vanity Fair (perchè il pubblico femminile in questa svolta epocale gioca un ruolo di punta). La quale testata addirittura titola: “Non basta essere sostenibili, dobbiamo cambiare il sistema”. Capito? Macchisenefrega se le tue patate sono buone e manco contribuiscono alle trasformazioni del clima. Questo è un sistema che va cambiato comunque, perchè lo diciamo noi. Insomma, una freccia incoccata e in attesa di essere scagliata al centro del cuore verde d’Italia, proprio là dove vive la popolazione più lontana dalle metropoli e dalla fluidità della vita post-moderna. Proprio lì dove vivono le persone più resistenti ad uno stile di vita in cui si ha tutto ma non si è padroni di niente. Perchè sacche d’identità come queste, con generazioni storiche ancora vive che hanno capito tutto, il nuovo ordine sociale non può correre il rischio di averne. Potrebbero risultare contagiose.
“La manifestazione – spiega la nota di Sharon Cittone, ideatrice e organizzatrice dell’evento – porterà in Umbria 150 delegati da tutto il mondo con l’intento di disegnare un nuovo sistema alimentare sostenibile”. E se per caso non vi bastasse questa cacofonia per intravedere la fregatura nei confronti di una terra che già si sostiene perfettamente da sola senza grandi metropoli, giganteschi allevamenti intensivi e zone industriali grandi come città, vado avanti. “Rappresentanti del mondo dell’industria alimentare e dell’agricoltura, di Ong e di istituzioni internazionali come la Fao, influencer e politici, investitori e ricercatori universitari. Insieme per traghettare l’attuale sistema alimentare verso un modello più sostenibile. I temi saranno i diversi tipi di agricoltura, da quella rigenerativa a quella verticale, le proteine alternative, la produzione di cibo e la supply chain, l’accesso al cibo, gli sprechi alimentari e la circolarità, i media e le politiche agricole, solo per dirne alcuni”. Ecco. Solo per dirne alcuni, noi replichiamo: “Umbri, siete pronti a dire addio al capocollo, al piccione e alla faraona in cambio di latte ai piselli, cavallette in brodo e strangozzi alle camole?”. Se vi lascerete affascinare da questi pifferai magici che intendono solo saccheggiare quanto di più caro avete su questa bella terra, avremo perso tutto.