Chiudono le botteghe, aprono le multinazionali. Sconfitta la storia, festeggia la volgare cultura del nulla. Non c’è pace nemmeno per Verona, una delle città più identitarie d’Italia. E così Giulietta, dal suo balcone di via Cappello, ha dovuto assistere alla debacle del caffè espresso tricolore: deposte le armi, ha ceduto a Starbucks lo storico Cafè dell’Aquila Nera. Un nome che giunge dagli inizi del ‘900 e che nulla ha potuto di fronte ai carriarmati del progresso mondialista.
A un passo da Piazza Erbe, dove si ritrovavano intellettuali d’ogni calibro, è stato inaugurato il primo negozio “Starbucks” del Veneto. Con una gran fila a sancirne l’inaugurazione e con le sue bevande annacquate da sorseggiare a spasso, Romeo è diventato un americano qualunque. Chissà cosa ne penserà Madonna Verona, per la verità già tristemente abituata a certe volgarità dello sbarco alleato. All’ombra della Torre dei Lamberti, aveva già dovuto ingurgitare una bella porzione di pollo fritto a stelle e strisce sorto sulle macerie di un’antica osteria che serviva soppresse e bianchetti.
Quella di sostituire le botteghe tipiche cittadine con negozi senz’anima è una tendenza alla quale Verona non è nuova, che ha già mietuto vittime illustri. Le attività che permettono al tessuto imprenditoriale di prosperare finiscono in pensione, in un centro cittadino ormai confezionato a uso e consumo dei turisti stranieri. E sorgono grossolane filiali di holding estere che vendono prodotti inutili per i consumatori e velenosi per l’economia locale. La macelleria Zardini (1932), a un passo dal Duomo, ha chiuso perchè non reggeva più la concorrenza con i centri commerciali. La “Casa del Rasoio” (anni ’70) non ha retto il colpo con il monopolio dei grandi marchi. La “Pescheria da Paolo” (anni ’50) aveva costi tre volte superiori a quelli degli ipermercati e la pasticceria Cordioli (anni ’60) ha lasciato il campo all’Elk Bakery. Che sul proprio sito, vanta di offrire “un ambiente un po’ New York, Stoccolma, Copenhagen o Parigi”. Un pò tutto e un pò niente. Nemmeno stessimo passeggiando in una delle città rinascimentali più importanti d’Europa, che mentre Copenhagen era un villaggetto di pescatori vichinghi (1137 d.C.) affrontava l’era di passaggio dal Feudalesimo all’epoca dei Comuni (1136 d.C.). Mentre Cangrande della Scala si intratteneva con Dante, a Stoccolma le capanne ancora dovevano costruirle.
Triste epilogo: Starbucks, fondato a Seattle negli anni ’70, non si era mai avvicinato all’Italia fino al 2018. Fu Howard Schultz stesso, presidente e AD della società, ad aver sempre ritenuto che «agli italiani non piacciono le tazze di plastica, poiché essi non considerano neanche la possibilità di prendere il caffè fuori dal bar, bevendoselo mentre camminano o mentre guidano». Dunque Schultz ci credeva incorruttibili, forse ancora custodi di quel piccolo particolare storico che ci indica come la culla della civiltà occidentale. Beh, si era sbagliato.