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Dalle Alpi agli Appennini, si muove qualcosa per salvare la montagna
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La striscia

Elena Livia Pennacchioni
Elena Livia Pennacchioni
Vedo il mondo da 1 metro e 60, l'altezza al garrese del mio Attila. Sono l'addetta stampa della biodiversità, romana di nascita e veronese d'adozione, ma con il cuore ha in Umbria. Scrivo di animali, piante e qualche volta di come l'uomo riesce a salvarli!

In nove regioni d’Italia è andata in scena ieri una mobilitazione diffusa per chiedere di fermare la costruzione di nuovi impianti di risalita in molte località italiane di montagna. Dalle Alpi all’Appennino, sono state decine le associazioni e centinaia le persone che hanno risposto alla chiamata di “The Outdoor Manifesto”, l’appello per reimmaginare le pratiche e le modalità per vivere l’inverno in montagna. Con o senza le ciaspole, al centro delle proteste dei partecipanti c’è stato l’attuale sistema turistico, calibrato sulla monocultura dello sci da discesa diventato insostenibile dal punto di vista ambientale. Secondo il Cnr infatti, il 2022 è stato l’anno più caldo mai registrato in Italia dal 1800. Un trend in atto da alcuni anni, che ha provocato un’evidente diminuzione dei ghiacci perenni e del manto nevoso, con inverni sempre più brevi e una quota-neve ogni anno più alta. Dati non certo confortanti per l’ambiente e per un’industria, quella sciistica, che fa della sua materia prima la risorsa-neve. E gli effetti sono già sotto gli occhi di tutti: il dossier Nevediversa 2023 di Legambiente indica che gli impianti dismessi in Italia hanno toccato quota 249, quelli “temporaneamente chiusi” sono 138 mentre quelli che sopravvivono solo grazie a forti iniezioni di denaro pubblico e neve artificiale, hanno raggiunto quota 181.

“Siamo snowboarder, siamo sciatori, siamo runner, siamo climber, siamo ciclisti, siamo trekker. Siamo tutto ciò che è outdoor. Siamo praticanti, siamo professionisti, siamo principianti e siamo – tutti – guidati dalle medesime passioni”, si legge nel “The Outdoor Manifesto”. “In un momento come questo, in cui le pratiche outdoor sono oggetto di un business crescente e sempre più spesso strumentalizzate da logiche di marketing che spingono verso la mera spettacolarizzazione, ribadiamo l’importanza dell’essenza più pura dell’outdoor come mezzo per riconnetterci con la parte più profonda e vera di noi stessi”. In virtù di questo, si legge, “Ci opponiamo allo sfruttamento di aree sensibili in nome di un presunto progresso economico che non tiene in considerazione la sostenibilità ambientale, culturale e i benefici multipli forniti dagli ecosistemi al genere umano”. 

Da Como a Trento, da Belluno a Udine, Bologna, Pescara e Rieti la mobilitazione “Basta impianti” ha visto la partecipazione di centinaia di persone, che già annunciano battaglia sui quelli che ritengo veri e propri scempi perpetrati a danno delle comunità locali. 

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