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Diritto all’oblio sul web, dalla Cassazione uno spiraglio di civiltà
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La striscia

(Adnkronos) –
Diritto all'oblio. Il 13 maggio 2014 la Corte di Giustizia Europea ha introdotto il diritto all’oblio nel senso che ha stabilito che i cittadini UE hanno diritto di richiedere ai motori di ricerca la rimozione di informazioni associate al proprio nome quando queste siano “inadeguate, irrilevanti, non pertinenti o non più pertinenti”. Qualora il motore non ottemperi, l’interessato può adire le competenti autorità nazionali che valutano la fattispecie e, se del caso, possono imporre allo stesso motore di ricerca la soppressione del link. Le autorità nazionali, scriveva allora la Corte, dovranno bilanciare il diritto alla protezione dei dati personali con l’interesse generale ad una corretta e completa informazione. Il Regolamento europeo sulla protezione dei dati del 2016 ha dedicato un apposito articolo, il 17, al diritto alla cancellazione, al diritto all’oblio, attribuendo al soggetto interessato il diritto alla cancellazione dei dati personali che lo riguardino con conseguente obbligo ad adempiere a carico del titolare del trattamento dei dati e ciò al verificarsi di alcune condizioni tra cui la mancata attuale corrispondenza e necessarietà rispetto alla finalità per cui essi erano stati trattati. Proprio in quest’ottica, lo scorso 1 marzo, la terza sezione civile della Corte di Cassazione ha emesso una sentenza (6116/2023) che da ampio riscontro al diritto all’oblio nel nostro Paese. La suprema Corte ha infatti riconosciuto la risarcibilità del danno derivante da una prolungata esposizione mediatica (sul Web) subita da un uomo imputato in un procedimento penale e poi assolto con formula piena. La vicenda era stata riportata da un quotidiano on line che poi aveva 'dimenticato' di citare l’epilogo a favore dell’imputato. Atteso che sul web se non avviene rettifica una o una cancellazione tutto resta in eterno (qui la grande differenza con la carta stampata, che il giorno dopo serve 'ad incartare i pesci') c’è, secondo la Cassazione, il diritto dell’interessato ad ottenere il giusto aggiornamento e della testata a farlo e se non lo fa, paga i danni. Uno spiraglio di civiltà nel Far West che è Internet. 
Neologismi. Anche nell’ultimo aggiornamento il mitico Oxford Dictionary (il top del linguismo anglosassone) ha aggiunto alla sua prestigiosa lista una serie di neologismi nati sulla Rete. Lo scorso anno aveva aggiunto gli acronimi da tastiera OMG; LOL; TMI; BFF e addirittura il simbolo del cuoricino usato come verbo. Già da qualche anno peraltro erano entrati i termini “bitcoin”, “emoji”, “phablet”, “selfie” ed espressioni tipo FOMO (fear of missing out: ho paura che misto perdendo qualcosa). Quest’anno è la volta di “noob” (esordiente, privo di esperienza) di “cyberbulling”, “sexting” ed altri. Perché tutto ciò ci deve interessare (e anche preoccupare)? Intanto perché l’introduzione nel dizionario indica grande popolarità e grande utilizzo del termine e poi perché la Rete sta portando ad un cambiamento anche della semantica, infatti i neologismi non stanno cambiando solo la lingua inglese (e questo potrebbe interessarci sino ad un certo punto) ma stanno diventando la base di una lingua internazionale (quella della Rete appunto) che sta velocemente togliendo capacità creativa a tutte le altre lingue nazionali. 
Musica. C’è una nuova canzone dei Depeche Mode uscita in Rete da pochi giorni ed è “My Cosmos is Mine” (dopo “Ghost Again” di qualche settimana fa) che anticipa l’album del ritorno dopo sei anni del gruppo (e dopo la scomparsa del tastierista Andy Fletcher), “Memento mori” la cui uscita è prevista per il 24 marzo. Il brano è cupo e inquietante ma di grande potenza musicale, nella migliore tradizione dei Depeche. (Di Mauro Masi) —economiawebinfo@adnkronos.com (Web Info)

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