Todi, anno domini 2024. Quello in cui l’amministrazione della cittadina umbra in provincia di Perugia (un gioiello d’architettura medievale) vanta il record della presenza turistica dell’anno precedente con un bel +7,9%. Ma si sa, gennaio è un mese dormiente anche per i più incalliti viaggiatori destagionalizzati. Che supponiamo non abbiano dunque assistito alla presenza silenziosa di una carcassa di cinghiale incidentata, lasciata sul ciglio della strada pubblica appena dopo lo scontro con un auto, proprio sotto il cartello che indica il centro storico. Per settantadue ore di frollatura naturale, da venerdì a lunedì, durante le quali sono fioccate le richieste di rimozione. Valse a nulla, di fronte al fine settimana incombente. Che ha costretto dunque residenti e avventori a convivere per tre giorni con odori e liquidi della por’anima del cinghiale morto. Peste suina? Certo, in Umbria è emergenza tale da prevedere di abbattere e smaltire 44mila animali nel solo 2024. Ma non nel fine settimana, santo cielo.
Questa è una storia banale di lassismo all’italiana, rinforzata però da un epilogo imprevedibile anche per chi ormai non si stupisce più di nulla. Nel quale l’assassino non è mai il maggiordomo (e mai si capirà chi sia), in cui si rovescia il destino di colpevoli e innocenti. E da vittime di una gestione per lo meno irresponsabile, i cittadini diventano gli accusati. E i multati.
Sul far della sera di venerdì 26 gennaio, accade che un automobile di passaggio si scontri con un cinghiale che gironzolava da quelle parti. Anche lui di passaggio, senza serie intenzioni di lungo periodo. Siamo sulla circonvallazione che costeggia le mura storiche di Todi, lungo una strada a due corsie che va necessariamente percorsa se si vuole entrare in città. Marciapiede assente, la ciclopedonale la stanno facendo dall’altra parte dove non abita nessuno, perchè serve il secondo ascensore per i turisti che sennò è scomodo. Quindi se vivi lungo le mura e devi andare a piedi alle scuole medie o all’Istituto Agrario o agli ambulatori medici, devi camminare in equilibrio sul cordolo che si erge tra la carreggiata e la greppa.
Sul luogo del misfatto, proprio oltre il salvifico cordolo, sotto il cartello che indica piazza del Popolo, arrivano un pò di autorità, comprese quelle sanitarie. Perchè c’è l’emergenza peste suina, e quindi va fatto il prelievo per assicurarsi che non si tratti di esemplare infetto. Procurato un taglio alla pancia del cinghiale, fatto il prelievo, due cose burocratiche, tutti si salutano. Tranne il cinghiale, che rimane lì esanime. Con la sua botta in testa e il suo taglio nella pancia. Tutto che scorre a terra con le relative pertinenze organiche. Scende la notte e la peste suina si vede che dopo le 20:00 non è più in servizio, perchè tra volpi, faine e qualche altro predatore opportunista, hai voglia ad approfittarne di tutto quel ben di Dio e portare poi a spasso l’infezione per tutto il contado.
Arriva la mattina di sabato e l’urlo di una camminatrice di passaggio allerta le case d’intorno. Che iniziano il tam tam delle segnalazioni. “Pronto, polizia municipale?” – “No guardi, ci hanno già chiamato, la competenza è della Regione”. “Pronto Sanità Animale?”. Niente, è sabato mattina. Azienda dei rifiuti? Sempre sabato mattina. Cani chiusi in casa per evitare un macabro convivio intorno al malcapitato e domenica sera il cinghiale procede imperterrito con i suoi odorosi processi organici post mortem. Terza notte di libertà per l’eventuale peste suina. Lunedì 29 gennaio, a pomeriggio inoltrato, 72 ore dopo dall’incidente, arriva un furgone bianco. Scende un ragazzo, carica il cinghiale e se ne va. Cani liberi. No, perchè a terra c’è di tutto. Chi passa il mocho? “Pronto, azienda di igiene ambientale? Ho gli animali che sfondano la recinzione e vanno sulla strada per seguire le tracce organiche di una carcassa lasciata lì per 72 ore”. “I nostri uffici sono chiusi, si prega di richiamare in orario di lavoro”. Richiudi i cani, i gatti, i criceti. Martedì mattina 30 gennaio, un bel meticcio riesce a superare le barriere: fugge da una finestra, rompe la rete della proprietà privata, esce e gironzola intorno alla golosa pietanza. Le macchine sfrecciano, si spaventa e finisce in piazza del Mercato Vecchio, in pieno centro. Arriva l’accalappia cani e legge il microchip. La Polizia Municipale chiama il proprietario, che lo stava cercando. “Ah mi raccomando, porti con sé un documento ora che viene a prenderlo!”.
Il documento del proprietario del cane serviva a stendere il verbale di omessa custodia delll’animale. Perchè questa storia all’italiana finisce che il cinghiale ha potuto giacere – mezzo aperto – per tre giorni interi su una strada di pubblico passaggio; l’eventuale peste suina è potuta circolare in lungo e in largo per i magnificenti paesaggi rurali della Media Valle del Tevere; chi sarebbe dovuto intervenire immediatamente per garantire la salute pubblica e rimuovere la carcassa, ha potuto godersi il fine settimana non lavorativo. E invece chi ha subito danni e inoltrato segnalazioni per tre giorni no, proprio non avrebbe dovuto avere una recinzione a 40 centimetri da un cinghiale che si è permesso di morire all’alba del fine settimana.
D’altronde si sa. Oltre il danno, la beffa. E la multa? Cinquanta euro.
Attenzione, immagini forti
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