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Granchio blu, emergenza in alto Adriatico: a rischio produzione di mitili e fauna marina
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La striscia

Goletta Verde di Legambiente lancia oggi dall’Adriatico un appello a Enrico Caterino, neo-commissario per l’emergenza granchio blu che la Presidenza del Consiglio dei Ministri ha nominato ieri pomeriggio. E lo fa nel corso della tappa in programma oggi e domani in Emilia-Romagna, indicando al neocommissario tre proposte su cui lavorare.  

“L’uso delle nasse – spiega una nota di Legambiente – ovvero gli attrezzi di pesca selettiva e a basso impatto ambientale, è la strada giusta per la pesca del granchio. Questa soluzione è già stata sperimentata in altri paesi come Spagna e Grecia. Per tamponare l’emergenza va bene pescare, raccogliere e smaltire il granchio blu, ma si tratta di una soluzione temporanea. Occorre poi sburocratizzare e snellire il processo di ristori e indennizzi alle imprese del settore ittico e dell’acquacoltura che hanno richiesto sostegno al governo per fronteggiare le perdite economiche. E non va dimenticato il monitoraggio e la ricerca scientifica. Lo studio e l’analisi dell’invasione del granchio blu deve essere sostenuta adeguatamente e, soprattutto, in maniera costante e concreta affinché si riesca a trovare una soluzione definitiva al problema”.

ALLEVAMENTI E FAUNA MARINA A RISCHIO IN ALTO ADRIATICO

“Auguriamo buon lavoro a Enrico Caterino, già prefetto di Ravenna e Rovigo, nominato commissario straordinario per l’emergenza granchio blu. Il nostro auspicio – commentano Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente e Stefano Raimondi, responsabile nazionale biodiversità di Legambiente – è che la sua nomina sia di aiuto al settore ittico e acquacoltura di Emilia-Romagna e Veneto, e in generale dell’Alto Adriatico, da oltre un anno sotto scacco a causa della specie aliena invasiva granchio blu che ha praticamente compromesso la produzione di mitili. È fondamentale che l’Italia eviti di compiere errori gestionali, come un ritorno alla pesca a strascico, ma che piuttosto venga definito il prima possibile un piano scientifico sperimentale di contrasto alla proliferazione del granchio blu, basato su soluzioni che tutelino sia l’economia legata agli allevamenti di spigole, orate e molluschi sia la salute degli ecosistemi del Mediterraneo, in particolar modo di quelli costieri”. 

“La deroga alla pesca a strascico sotto costa deve essere evitata – concludono Ciafani e Raimondi – perché significherebbe un grave passo indietro sulla tutela della biodiversità dei mari e la salvaguardia di specie a rischio vittime di catture accidentali come delfini e tartarughe, andando a incentivare un tipo di pesca che già ha causato danni all’ecosistema marino. Per questo oggi lanciamo con Goletta Verde le nostre tre proposte al neo-commissario su cui lavorare per affrontare l’emergenza granchio lungo le coste della Penisola”.  

GRANCHIO BLU, LA CONTA DEI DANNI

L’associazione ambientalista, già nello scorso mese di maggio, nell’ambito della presentazione del dossier “Biodiversità a rischio 2024” ha realizzato un focus sul granchio blu (Callinectes sapidus), ricordando come nel Mediterraneo questa specie aliena sta minando la biodiversità e creando ingenti danni economici nel comparto della pesca professionale. Nell’estate del 2023 infatti, il granchio blu si è diffuso soprattutto nella costa adriatica, causando problemi alla pesca in Emilia-Romagna e Veneto. Gli acquacoltori della provincia di Rovigo sono stati particolarmente colpiti dal crostaceo, che ha attaccato gli allevamenti di cozze, ostriche e vongole, i quali costituiscono un prodotto importante per il settore della pesca nel Delta del Po. La situazione è preoccupante, considerato che solo a cavallo tra il Veneto e l’Emilia-Romagna esistono più di 3000 allevamenti di molluschi che rischiano di essere gravemente danneggiati dalla presenza di questa specie invasiva. Anche in Toscana si sono susseguiti una serie di eventi di invasione, specialmente lungo le coste della Maremma. Nella Laguna di Orbetello, ad esempio, il granchio blu ha divorato le fonti di cibo usate per nutrire le anguille, le orate e le spigole, compromettendo di conseguenza la produttività degli allevamenti, e ha danneggiato moltissimi attrezzi da pesca. Secondo le prime stime di Fedagripesca-Confcooperative, il danno economico attuale causato dalla specie sarebbe già attorno ai 100 milioni di euro. 

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